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    I Templari: un’epopea iniziatica

    Storia, storiografia, ipotesi, intuizioni, sono state studiate, analizzate e ricomposte nello sforzo di ricostruire l’intera vicenda dei Templari.

    Che cosa aggiungere all’argomento, sul filo delle semplici considerazioni, dopo le migliaia di pagine scritte dal marzo 1314 ad oggi?

    Storia, storiografia, ipotesi, intuizioni, sono state prese in esame, studiate, analizzate e ricomposte un’infinità di volte nello sforzo appassionato di ricostruire il mosaico dell’intera vicenda. Ma anche se qua e là qualche sprazzo ha rischiarato uno dei più complessi e affascinanti misteri di questo millennio, alla fine non si è potuto sollevare completamente il Velo, Ma come si potrebbe in via del tutto usuale? Nella sua essenza l’arcanum partecipa del sacro, sfugge alla comune ragione e una possibile penetrazione nasce soltanto dalla dimensione iniziatica dell’interlocutore.

    Storia e analisi storiografica sono appena gli attimi palpabili, semplicemente e materialmente evidenti di un’azione e di uno status che, al di fuori e al di sopra del documento, scende e ascende per vie del tutto sottili nell’alternanza gloriosa delle riflessioni trismegistico-smeraldine.

    Usualmente, sotto l’aspetto esoterico, si sarebbe portati a parafrasare la convinzione di un ineluttabile divenire, a prescindere dai personaggi e delle epoche, essendo il tempo soltanto il distruttore e il costruttore di se stesso. In tal senso il Vico ne vide l’aspetto provvidenziale; il Recanatese una natura avversa e l’umana impotenza.

    Su questo filo, che non tiene conto del fatto che “la storia si costruisce sulle idee e che le idee stesse partoriscono gli eventi, che a loro volta per un processo di causa-effetto che non ha mai tregua, riproducono altre idee collettive e quindi altri eventi”, sembrerebbe che l’epopea templare, la Cattività Ebraica in Egitto, gli Ugonotti nella Notte di S. Bartolomeo o la Strage degli Innocenti, non farebbero alcuna differenza. Insomma, Filippo il Bello, Clemente V, Nogaret, nell’eterno rimpiazzo dei ruoli e per vie diverse, potrebbero non essere dissimili dal Faraone, da Pilato o dai protagonisti dei sanguinosi rivolgimenti del 1793 in Francia e nel Centro-Europa; semplici pedine, cioè, nell’economia di una nemesi ricorrente sull’invariabile scena dell’esistenza. Ma se per davvero così fosse, non mi sarei dato la pena di scriverne.

    Devo alla magnanimità del Dottor E. S. alla sua cura ininterrotta e alla sua fraterna sollecitudine il dono della pubblicazione I TEMPLARI, dedicata postuma a Graziano Curci.

    Si tratta di pagine di un acume e di una elevatezza che si fanno discorso essenzialmente iniziatico in suprema dimensione, raccomandabili ad ogni autentico ricercatore. E fu con viva emozione che in quelle pagine ho ritrovato riflessioni antiche, che mai, prima, avevo avuto l’opportunità di comunicare.

    Dell’illuminazione fatta da Graziano Curci basterà, in questa sede, qualche piccolo squarcio per comprenderne il quintessenziale valore. Per esempio: ” … Lo scopo del nostro lavoro non è quello di agganciarci alla storia dei Templari, ma quello di enucleare dalle trame della storia stessa le radici di questo movimento e comunque, per quanto fu e tuttora è avvinto da un mistero che nessuno mai penetrerà, di spiegare a noi stessi che il Prometeo di cui parlavamo è sempre presente fra le orde umane e sanguinante si divincola nei ceppi dell’oscurantismo per l’eterna ricerca di un barlume che abbia sapore d’eterno”.

    L’incisività dell’esordio racchiude e anticipa il superiore taglio della trattazione curciana: “Ci manterremo, perciò, fedeli allo spirito delle nostre indagini (…) a rendere eloquenti i nostri sensi sottili e le percezioni, le più oggettive possibili”.

    Poco più avanti il discorso si trasforma in potenti vibrazioni che solo gli autentici Iniziati sono in grado di recepire e di gustare con “i sensi sottili”: “Molti sono gli arcani che la storia e la leggenda rinserrano. L’esplosione della civiltà islamica e la parallela esplosione della civiltà occidentale furono sussulti di assestamento nella crescita di un mondo a catena di vibrazioni che ebbero un riverbero nei secoli futuri, nei linguaggi consoni alle varie fattispecie dottrinali e dogmatiche. Per chi cerca conforto nei fatti è valido il richiamo dell’identità delle proporzioni e delle misure ritmiche dei monumenti egizi e quelle di alcune moschee e cattedrali gotiche ……

    Poi, una vibrazione talmente forte da sollecitare alla memoria e allo spirito una quantità di sottili percezioni: “I Templari praticarono l’alchimia, ne investigarono le leggi, ne attuarono le tecniche. Non potevano non conoscere questa scienza antichissima e tramandata nel segreto dei sapienti e che consente il balzo di qualità nei più preparati prima, nell’intera umanità poi (…). Il sanguinoso colpo di scure che recide la storia dell’Ordine realizza una mutilazione solo per la cronaca”.

    La sostanza delle mie antiche riflessioni è quasi tutta in queste parole; perciò tenterò di fare un’analisi.

    Premesso che la trasmutazione alchemicamente si esplica attraverso le tre fasi al nero, al rosso e al bianco, l’epopea templare le subisce tutte, le sopporta coscientemente, non si sottrae e giunge a quell’esemplare “balzo di qualità” che “ha sapore d’eterno”.

    Da questa dimensione implicante il materiale e lo spirituale, il terrestre e il divino, non sono esenti le idee, la funzione della storia e ogni possibile situazione. In tutto questo è presente la dimensione trismegistica con la sua identità tra l’alto e il basso che rappresenta l’imperturbabile armonia dell’Universo nel suo divenire unico eppur differenziato, ma strettamente connesso. Pertanto, sotto il profilo generale e particolare, i Templari e la loro epopea hanno una precisa collocazione alchemica; talché riteniamo che ogni recriminazione di carattere storico e ogni “se” di tipo mentale, non possono avere alcun senso e denoterebbero una cecità interiore che ai veri Iniziati non è mai ascrivibile. I Templari nascono (o ri-nascono), si affermano (o si ri-affermano), e poi si espandono, per affinità iniziatica perché nutriti ed allevati ad una Tradizione che li fa ritrovare e dalla quale non è disgiunto il Mito, da Osiride a Hiram, e l’olocausto in dimensione di ri-generazione.

    La riflessione si concretizza ulteriormente e cresce attraverso l’analisi del pensiero e dell’apporto di un Bernardo di Chiaravalle, la cui Regola ribadiva alla Militia Templi un’ideale di tipo iniziatico innestato sul tronco delle grandi tradizioni orientate e occidentale, come un virgulto emblematico e continuità di ricerca delle comuni origini della storia umana. Un meraviglioso afflato esoterico al di fuori e al di sopra delle contingenze limitative e nel quale confluiscono e si integrano religiosità, architettura vibratoria, ricerca cristiana, indagine misterica, Tavole Mosaiche, il Santo Graal e lo stesso segreto della Vita. Gli adepti avevano poi la possibilità, garantita, di accesso alla Terra Santa, al Tempio di Salomone, ai documenti rigorosamente e gelosamente celati dai sacerdoti ebraici, i cui rapporti con la ricerca scientifica e l’esoterismo orientale sono iniziaticamente intuibili nel comune sforzo di penetrare la Verità nei suoi Misteri.

    Sotto questo aspetto, l’Ordine del Tempio (non dipendente da alcuna gerarchia secolare o religiosa, e sottoposto soltanto alla diretta autorità del Papa, così come risulta dalla bolla di Innocenzo III del 1139), godeva del privilegio di procedere senza intoppi nella costruzione di una ricerca che, opportunamente vissuta, permetteva agli iniziati di proiettare lo sguardo interiore, liberamente, verso la Verità celata e terribilmente misterica dell’universo in ogni suo aspetto e sublimazione. La meta: la trasmutazione interiore dell’uomo a riscatto della caduta adamica e la ri-unificazione col Principio Unico. Il Cristo l’aveva predicato, sofferto ed attuato nel disegno salvifico universale; ma nel 1118, in poco più di un millennio, la strumentalizzazione aveva come distorto il Messaggio e l’Opera.

    Un secolo più tardi lo sintetizzerà ulteriormente la vocazione fulminea di Francesco d’Assisi, chiamato “in sogno” a riedificare la Casa (il Tempio), che “minaccia rovina”.

    Sotto il profilo anticipativo e collaterale i Templari rappresentavano già un momento di illuminazione e uno scossone traumatico allo stagnante feudalesimo degli Stati, fatto di lotte al suo stesso interno e di cristallizzazione contro qualsiasi tensione simbiotica tra i popoli. E ritorna Francesco d’Assisi, testimone ispirato dei fermenti spirituali del tempo.

    Nel 1219, egli parte per l’Oriente, passa in Siria, dialoga col Sultano di Babilonia e si comprendono sul piano sicuramente sufico. Si parlerà però di conversione dell’Infedele. Ora, noi ci domandiamo: conversione o incontro iniziatico tra due illuminati cavalieri che si ri-trovano?

    Successivamente, e dopo aver giurato “in segreto” di mantenere il contatto interiore, Francesco parte, si unisce agli eserciti della V Crociata e visita la Terra Santa. I Cavalieri del Tempio vi avevano la loro sede e certamente Francesco ebbe modo di incontrarli, parlare ed esprimere il suo pensiero a proposito dell’opera di assistenza spirituale e materiale prestata dai Templari ai Crociati ed ai pellegrini alla ricerca dei Luoghi Santi. Uomo di cultura laica e ardente personalità mistica, alla mente di Francesco non poterono rimanere estranei certi riferimenti immortali: la prudenza e la saggezza, il Mentore che ammaestra, la divina scintilla della Conoscenza, la Ricerca applicata all’opera quotidiana, la severità dei costumi di un Ordine militare e monastico disponibile a soccorrere superiormente l’avventura umana dell’intramontabile Ulisse e la ricostruzione stessa del Tempio…

    Ma, allora, quale fu l’errore “imperdonabile” dei Templari? Quello, forse, di tenere saldamente segreta la propulsione iniziatica non certo accessibile alla profanità? 0 fu una congiura di gerarchie ferocemente fiscali e ciecamente censorie, che sentendo minacciati i loro prepotenti privilegi manovrarono spietatamente per cancellare “un barlume di speranza che abbia sapore d’eterno”?

    Arrivati faticosamente al Segreto della Grande Opera, i Templari lo riprodussero con saggezza umile e nascosta per il bene del mondo e dell’umanità. In un soffio nuovo furono in grado di incrementare tutte le buone attività sociali, di promuovere un principio di alfabetizzazione generale, di attuare un’architettura vibratoria che racchiudeva i sacri ritmi glorificanti il Principio Uno e Trino. Elevarono gli animi in una testimonianza di altissima spiritualità incardinata sui plinti della fratemità, della libertà, della giustizia. Lavorarono in modo giusto e perfetto configurando il modello di una socialitas nova, luminosamente primordiale, ampiamente ripagata dalla fiducia di quanti erano stati affrancati ed elevati. Ma in tempi di oscurantismo c’era in abbondanza di che per essere perseguitati e arsi vivi. Oltretutto, per le innumerevoli donazioni, l’Ordine templare era al centro di un autentico impero finanziario, opulento e indipendente, dinamico e articolato in sintonia muratoria; cosicché, Graziano Curci annota: “La difesa della Terra Santa diventa un fatto strumentale nel tempo. L’Ordine del Tempio mira alla conquista dell’Occidente ivi svolgendo una propria missione. L’Oriente assurge così a sede simbolica. La sede effettiva si stabilisce in Europa dove i territori posseduti in donazione sono immensi. Nel 1270 si parla di oltre 100 commende solo in Francia. Nel 1307 si parla di un numero doppio. Alcuni storici sostengono perfino che in tutta Europa le capitanerie templari arrivarono a 9.000. Oltre a centri di potere civile e militare, pur conservando una netta impronta monastica, esse diventano addensamenti di ricchezze, quel che oggi si chiamano banche. ( … ) Possedevano inoltre una fitta rete stradale, dalla Bretagna al Mediterraneo, porti, rade e flotte di navigli che sono sotto il dominio dell’Ordine di Francia, Spagna e Portogallo. In ogni terra, caduta sotto l’influenza di una capitaneria, fioriscono commerci e industrie, prospera la cultura, sorgono opere d’arte ( … ). L’Ordine però è troppo ricco perché possa ulteriormente espandersi a rischio perfino di aggregare in un unico impero monarchie e signorie e conseguire il dominio del mondo. Ma tutte le civiltà, giunte al loro apogeo, subiscono processi involutivi ed autodistruttivi per un’occulta catarsi estranea al loro volere manifesto. Filippo il Bello, Clemente V, sono solo gli strumenti di questo ingranaggio pianificatore”.

    Ad una superficiale lettura, quest’ultima frase curciana potrebbe apparire generica; invece va letta e meditata nel suo giusto senso: quello che cela l’aspetto esoterico e quindi iniziatico dell’epilogo templare; un epilogo che nella struttura storiografica si riduce appena a quanto comunemente conosciuto. Il discorso autentico, mi si consenta, risale ben oltre, e conforta le mie antiche riflessioni quanto Enrico Palmi esprime nella sua introduzione alla trattazione curciana: “D’altra parte la completa e complessa organizzazione templare comportava l’esistenza di un collegio di alchimisti, accanto a costruttori di templi e a forgiatori di metalli, accanto ancora a studiosi di religione dediti a pratiche esoteriche”.

    Quel “dediti a pratiche esoteriche” non può che alludere alla presenza e all’opera di illuminati studiosi ed anche conoscitori degli eventi futuri sul filo di un calcolo superiore e particolarmente preciso; dunque autentici risonatori cosmici nella scia della più pura Tradizione tesa alla scrutazione e alla interpretazione dei “segni”. Allora sarebbe possibile che i Templari conoscessero in forte anticipo il destino del loro Ordine, ma sarebbe assurdo domandarsi perché non tentassero di influenzarlo procrastinandolo o scongiurandolo: “Trasmutazione che aggredisce la labilità del tempo e lo trasforma nell’eterno”, dice magistralmente Palmi nella sua introduzione breve. In questo senso, le mie antiche riflessioni poggiano su diversi elementi. Per esempio, l’Ordine del Tempio non possedeva forse immense ricchezze, organizzazione militare, una flotta, strade e centinaia di capitanerie in tutta l’Europa?

    Nel caso del tutto improbabile che avesse voluto difendersi spada in pugno, sarebbe bastato un allarme generale per mobilitare in breve tempo forze di tutto rispetto ed altre avrebbe potuto ingaggiarne senza limite di numero, tipo di armamenti e spese. E nemmeno si può affermare che il finale, prima drammatico e poi tragico, si profilasse tanto fulmineo da configurare un attacco a sorpresa. E se avvisaglie ci furono, furono tempestive e non poche. Evidentemente ed in dimensione eroica si è trattato di dimostrare tangibilmente il loro impegno iniziatico e morale di saper stare al di fuori e al di sopra delle parti. Ed intanto….

    Nel 1307, preoccupato della potenza templare nel suo regno, Filippo il Bello, mentre da un lato mira alla monarchia assoluta, dall’altro si mostra sempre più avido delle immense ricchezze dell’Ordine. Allora escogita di aggirare la vigile preda, chiedendo di entrare a far parte del Sovrano Ordine dei Cavalieri del Tempio. Giacomo de Moley, Gran Maestro in carica, fiuta la manovra e la sventa riunendo il Capitolo ed appellandosi all’articolo dello Statuto che esclude i principi dall’Ordine.

    Il rifiuto è forse quanto il sovrano di Francia aspettava per scatenare il casus belli. I Templari ne avevano piena coscienza, ma non presero alcuna iniziativa per mettersi tempestivamente in salvo. Perché? Perché, si è portati a pensare, non avrebbero comunque potuto scongiurare quanto “per vie sottili’ preconoscevano e s’aspettavano e che sarebbe servito ad un’ancor più grande dilatazione dell’Ideale templare. Sacrificavano insomma il libero arbitrio all’accettazione di un più vasto orizzonte.

    L’ipotesi sembrerebbe suffragata anche da quell’indispensabile ma sdegnosa riservatezza che adottarono appena per salvaguardare la dignità dell’Ordine e dei singoli, e che comunque non avrebbe intralciato l’evolversi di un disegno misterico comprensibile solo ad alcuni secoli di distanza. Non a caso Eliphas Levi scriverà più tardi: “Spezzando la spada dei Templari se ne sarebbe fatto dei pugnali e le loro cazzuole proscritte non edificarono più altro che tombe”.

    Ai nostri giorni Graziano Curci prosegue: “Un’immensa società segreta si era clandestinamente costituita sulle rovine del Tempio”.

    Il discorso, sottilmente connesso, risulta luminosamente catacombale e la sostanza assai bene può adombrare uno dei tanti aspetti del Segreto dei Templari. Ma osserviamo la seconda fase alchemica dei Cavalieri del Tempio: quella al rosso.

    Verso la metà del 1307, abilmente fomentata dal bel Filippo, in Francia si scatena una pesante campagna denigratoria contro i Templari. Le insinuazioni e le accuse vanno dalla magia all’eresia, alla sodomia, alle speculazioni economiche al fine di destabilizzare la corona. L’opinione pubblica ne è profondamente impressionata. A questo punto il re non esita a erigersi a difensore pubblico della morale, della Chiesa e degli interessi politici del regno. Come prima cosa toglie immediatamente ai Templari la guardia del tesoro reale, affidato loro qualche anno prima, quando una sommossa popolare aveva rischiato di detronizzare il re.

    Da questo istante, biecamente strumentalizzata, la tensione contro i Cavalieri del Tempio sarà portata al punto critico. Ma ancora una volta l’Ordine non fa nulla, pur possedendo le strutture, per smascherare i maneggi del re.

    Poco dopo, adducendo che intende far luce su tutte le accuse ai Templari, il sovrano ordina una grande inchiesta in tutta la Francia. Anche in questa occasione, i Cavalieri non sentono la necessità di prendere alcuna posizione di difesa esplicita. Non ricorrono nemmeno al Papa, la cui autorità è la sola riconosciuta. Perché? Silenzio misterico.

    All’alba del 13 ottobre 1307, una vasta retata scatta per ordine del re. Vengono tratti in arresto il Gran Maestro Giacomo de Moley e centoquaranta Templari residenti nel regno. I prigionieri non reagiscono, né si muovono le capitanerie di Spagna, Portogallo o d’altre parti d’Europa. Da questo momento le schermaglie, pesanti e sottili, tra Clemente V e Filippo di Francia, si riveleranno un tragico balletto, il cui finale potrà essere soltanto uno.

    I Templari in prigione intanto vengono inquisiti e torturati senza pietà. Alcuni sono assai avanti negli anni, ma non se se tiene conto. E con la violenza e la tortura si riesce ad estorcere ai prigionieri tutto quello che si vuole.

    Esulta il cristiano Filippo e pubblicizza a gran voce quella sua prima squallida vittoria: “Gli eretici hanno confessato!”.

    A grandi falcate, questo il succo degli avvenimenti, egli anticipa quanto faranno successivamente la commissione inquisitrice e la contro-commissione papale. Ma improvvisamente qualcosa si muove. I Templari chiedono di essere ascoltati e pubblicamente ritrattano le confessioni mostrando a tutti le piaghe lasciate dai ferri sulla loro carne.

    Perché inaspettatamente decidevano di dire qualcosa? La risposta potrebbe essere che certo avevano considerato essere una cosa la loro scelta esoterica ed incrollabile, ma sostanzialmente un’altra la veridicità storica di quelle “confessioni” che investivano l’onore dell’Ordine e dei singoli Cavalieri.

    L’inaspettato colpo di scena sconvolge l’opinione pubblica. Avversatori prezzolati e innocentisti si scontrano in un fermento minaccioso mentre la giustizia reale rischia di uscirne malconcia e la credibilità di Filippo molto ammaccata agli occhi degli Stati ormai in sospetto. Ma ecco che con un colpo di timone interviene il fratello di Nogaret, l’arcivescovo di Marigny, persona del re e al vertice della commissione di Stato. L’arcivescovo accusa i Templari di gravissimo oltraggio alla giustizia del sovrano e li condanna al rogo.

    E la commissione papale che si era impegnata a difendere l’Ordine?

    La commissione di Clemente V, dopo essersi imposta per puntiglio giuridico alla commissione del re, dichiara esaurito il suo compito e propone che a condizione di non torturare più i prigionieri, si può procedere allo scioglimento della Milizia del Tempio, alla confisca del suo immenso patrimonio e alla cattura dei Templari ancora in libertà. Il gioco era fatto.

    Dopo qualche altro tentativo da parte dei Cavalieri Templari condannati, e volto non ad evitare la pena, ma a stabilire la veridicità di quel processo, davanti al popolo di Francia ebbero inizio le esecuzioni.

    Qualche giorno prima di essere portato al rogo, il Gran Maestro Giacomo de Moley conferma che vuoterà il sacco sulle vere ragioni di quell’infamia che coinvolge corona e papato, quand’ecco verificarsi un altro episodio, mai spiegato finora. Una notte, un misterioso personaggio scende nella cella del condannato; e viene detto che i due parlarono a lungo e che avvennero proteste, esortazioni, recriminazioni, promesse, richiami…

    In realtà avvenne che dopo quel colloquio rimasto avvolto nel mistero, Giacomo de Moley interruppe definitivamente la difesa sua e dell’Ordine e si rimise in tutto alla logica del destino.

    Se ciò risponde a verità potrebbe costituire realmente una nuova e straordinaria pista d’indagine, e non soltanto storica; la stessa che mi ha spinto a formulare le supposizioni e gl’interrogativi espressi in questa breve carrellata.

    11 marzo 1314.

    Unitamente al Precettore di Normandia, al Visitatore di Francia e al Commendatore d’Aquitania, Giacomo de Moley affronta il rogo. Ma quando s’avvede che non viene concesso loro nemmeno il beneficio pietoso del laccio prima che il fuoco venga appiccato, egli grida il suo terribile anatema che puntualmente colpirà Clemente V, Filippo il Bello e Nogaret. Morirono a breve distanza anche i figli del re e, di lì a poco, tutta la Francia veniva travolta tra ferro e fuoco dalla guerra dei Cent’anni.

    Col rogo e la calcinazione (fase al bianco), si concludeva l’epopea alchemica dei Templari. I superstiti si rifugiarono in Scozia, portando con sé il divino Segreto che cela l’intera storia dell’umanità e che Clemente V invano aveva tentato di strappare loro con ogni mezzo.

    La Tradizione sottintende che proprio dallo stabilirsi dei superstiti in Scozia è sorto il Rito Scozzese Antico ed Accettato. Successivamente dilatatosi per filiazione universale, il mondo ne avrebbe accolto l’Opera continuatrice.

    Era dunque questo il Mistero terribile ed eroico riservato “per vie sottili” all’Ordine del Tempio? Molti aspetti della straordinaria vicenda lo fanno supporre. Noi vogliamo concludere questa nostra riflessione con una delle frasi contenute nella trattazione di Graziano Curci, e vuole essere un ringraziamento e un omaggio alla memoria-presenza del grande trascorso: “La strage dei Templari è un fatto solenne perché ha listato di lutto la storia dell’uomo”. Ma non si può non aggiungere che la storia è di per sé inarrestabile e che quanto fu consacrato attraverso ogni luminoso olocausto rappresenta quella stella polare che ai nostri giorni orienta nuovi apostoli alla continuazione muratoria di quel Tempio iniziato da antichi ed eroici Cavalieri, i quali hanno combattuto strenuamente il mostro cieco del pregiudizio e di un feroce egoismo, in nome di una nuova ideale socialità e di una totale ri-evoluzione dell’uomo in sintonia con la sua storia più autentica e le vere supreme Leggi del più sottile universo.

    E. F., Apr-Giu 1986

    L’Incontro delle genti

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