Presentazione generale
Fin dalla sua nascita, avvenuta nel XVII secolo, la Scienza moderna ha escluso il concetto di “mente” dal mondo oggettivo che intendeva studiare.
Dovendo spiegare tutto in termini rigorosamente materiali, nei secoli successivi la Scienza ha inevitabilmente considerato la mente come un aspetto secondario della natura, nato per caso sul nostro pianeta e confinato nel cervello dell’uomo e degli animali superiori. Perfino la psicologia, scienza nata nel XIX secolo con il proposito di indagare i fenomeni mentali, ha adottato questo atteggiamento, che è talmente radicato nella mentalità occidentale da sembrare ovvio e scontato.
– Ma le sorprendenti scoperte della fisica di questo secolo potrebbero sconvolgere questa vecchia concezione. Al livello della fisica sub-atomica esistono solo campi di energia, che vibrano o si propagano per onde (come la luce): l’aspetto “solido” della materia è solo un risultato grossolano dovuto al gioco delle forze sub-atomiche, le quali derivano da un unico campo fondamentale che Einstein definì “campo unificato”. In pratica, l’universo che sembrava intrinsecamente materiale ha rivelato che la sua essenza fondamentale è pura energia immateriale.
– A sua volta tale energia possiede un ordine intrinseco che rivela, al livello del campo unificato, l’intelligenza più profonda della natura.
Inoltre la fisica quantistica, che descrive questi livelli fondamentali della realtà, presenta incredibili paradossi che coinvolgono l’osservatore cosciente: l’universo non si trova in uno stato puramente “oggettivo”, ed un sistema fisico può comportarsi in modi diversi a seconda della conoscenza che ne ha l’osservatore! Negli ultimi anni tale inaspettata natura della realtà fisica è stata confermata da vari esperimenti, ma l’argomento è rimasto pressoché sconosciuto all’opinione pubblica (e perfino a molti scienziati). Per fortuna alcuni semplici esperimenti condotti recentemente su dei fasci di luce laser ha reso più comprensibile questa tematica (Le Scienze n.235, 1988; Le Scienze n.289, 1992).
– Molti scienziati non se ne rendono conto (o non vogliono farlo), ma tali scoperte (che riguardano fatti reali ed incontrovertibili ed hanno permesso concrete innovazioni tecnologiche) ci riportano verso una concezione immateriale e mentale dell’universo, simile alla visione di vari filosofi “idealisti” (da Platone a Schelling, da Berkeley a Fichte e ad Hegel), secondo cui la realtà naturale è solo una manifestazione di un principio mentale universale. La concezione della realtà che sembra delinearsi da queste scoperte, pur ritrovandosi in tutte le tradizioni del mondo, presenta straordinarie affinità con le concezioni della tradizione orientale, che ha perfino ricercato un riscontro scientifico delle sue teorie sulla mente.
– Procedendo in questa ricerca con la cautela della Scienza occidentale, che accetta solo fatti certi e documentati, troviamo fin dal 1972 (Le Scienze n.45, 1972) un semplice sistema di Meditazione Trascendentale introdotto da Maharishi Mahesh Yogi (laureato in fisica), che ha dimostrato di produrre notevoli effetti benefici sulla psicologia e sulla fisiologia dei praticanti, come documentato ormai da centinaia di ricerche scientifiche. Maharishi sostiene che con questa tecnica la mente può percepire i livelli più sottili della realtà fisica (fino al “campo unificato”) e può raggiungere uno stato “quantistico” che produce “coerenza” nelle onde cerebrali. Questo è il campo di studio delle Università Maharishi, come la M.U.M, con cui collaborano celebri scienziati.
– Un effetto straordinario, più volte verificato da vari Istituti di ricerca , è il cosiddetto Effetto Maharishi: in certe condizioni la coerenza generata da soggetti in meditazione si propaga nello spazio (il che è perfettamente accettabile nella nuova concezione), influenzando positivamente la popolazione circostante! Esso non provoca forzature della volontà ma solo un piccolo incremento dell’ordine mentale – che permette un funzionamento cerebrale più naturale e libero da stress – ed è rivelabile statisticamente dalle conseguenze sugli indici sociologici (minori incidenti e malattie, minore criminalità, miglioramenti economici, ecc.). – Questi incredibili riscontri scientifici, che purtroppo sono ancora ignorati dalla stragrande maggioranza delle persone (e degli stessi scienziati), e che devono scontrarsi contro pregiudizi colossali e granitici, avvalorano al di là di ogni dubbio la nascente concezione fondata nuovamente sulla mente, o meglio, come preferiscono dire le Università Maharishi, sulla consapevolezza.
Note.
– Per informazioni sulla Meditazione Trascendentale di Maharishi Mahesh Yogi si può contattare uno dei Centri MERU (Maharishi European Research University); gli indirizzi possono essere chiesti al Centro MERU di Roma, via della Mercede 52, tel.06/6781601, oppure al Centro MERU Nazionale, via Giordano Bruno 135, Napoli, tel. 081/7612915.
Via e-mail si può contattare l’ Associazione Samhita, editrice della rivista:
VEDA – Il giornale della Legge Naturale.
– Alcuni riferimenti scientifici sulla Meditazione di Maharishi:
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International Journal of Neuroscience, 14, 1981;
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Psychosomatic Medicine, 49, 1987;
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Journal of Clinical Psychology, 45, 1989;
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Journal of Social Behavior and Personality, 6, 1991;
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Journal of Crime and Justice, 4, 1981;
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Journal of Conflict Resolution, 32, 1988;
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Social Science Perspectives Journal, 2(4), 1988; e moltissimi altri.
– Data l’importanza che queste conoscenze possono avere sulla vita pratica, sia sul piano sociale che economico, è stato fondato un partito politico, il Partito della Legge Naturale (PLN), che fonda i suoi programmi proprio sull’applicazione di queste preziosissime conoscenze.
– Il celebre fisico teorico John Hagelin si è perfino candidato alla Presidenza degli USA allo scopo di diffondere queste importantissime conoscenze: esiste anche un sito dedicato alla sua candidatura.
La “consapevolezza”: una proprietà del “campo unificato”
La nuova visione del mondo.
Le scoperte della fisica di questo secolo hanno profondamente cambiato la visione della realtà naturale. Oggi il quadro scientifico dell’universo risulta ben diverso da quello del tradizionale “mondo-macchina” ottocentesco, che influenza ancora la nostra cultura e la nostra mentalità, sebbene sia un modello utile solo su scale superiori a quella atomica.
La Teoria della Relatività ristretta (Einstein, 1905), oltre ad unificare i concetti di spazio e di tempo, ha dimostrato che la materia è semplicemente una forma di energia. La meccanica quantistica o fisica quantistica (Planck, Bohr, Heisenberg, Schrödinger, Dirac ed altri, 1900-1928) ha poi evidenziato che a livello atomico tale forma di energia presenta una natura “vibratoria” o “ondulatoria”.
La nozione classica di “materia” è valida dal familiare livello degli oggetti visibili fino al livello molecolare ed atomico (stadio chimico), ma ai livelli sub-atomici decade. Normalmente si dice che all’interno degli atomi vi sono delle particelle in movimento (gli elettroni ed i nucleoni); in realtà tali presunte “particelle” consistono di campi oscillanti, ovvero di strutture immateriali recanti “informazione”: a questi livelli la realtà naturale rivela la sua intrinseca struttura razionale.
Una spiegazione fisica della mente
Considerato tutto ciò, è legittimo chiedersi se lo studio scientifico della mente umana possa trovare risposte valide in termini di fisica fondamentale piuttosto che nei tradizionali termini materialistici.
Fino ad oggi nessuno ha mai tentato un serio approccio fisico allo studio della mente: essa è considerata un’entità secondaria (rispetto alle entità fisiche fondamentali), riscontrata solo in organismi complessi come l’uomo o gli animali, e pertanto di esclusiva pertinenza delle scienze biologiche.
Ma alcuni fisici, in seguito allo sviluppo della meccanica quantistica, hanno iniziato a chiedersi se la questione della mente possa avere relazioni con la fisica moderna, e questo per almeno due motivi: 1) il principio di indeterminazione (Heisenberg, 1927) sembra permettere un piccolo margine per un “libero arbitrio” della natura; 2) alcuni aspetti paradossali della meccanica quantistica, verificati sperimentalmente, sembrano richiedere l’esistenza di una “consapevolezza” nei fenomeni subatomici, e ciò propone un riesame del concetto di “oggettività” (Bell, 1966; Aspect ed altri, 1982; Mandel, Chiao ed altri, 1991).
Il “campo unificato”
Grazie alla teoria della “Superstring” o “Supercorda” (Green, Schwartz ed altri, 1983, tuttora in evoluzione), i fisici si ritrovano vicinissimi ad una teoria completa e definitiva di unificazione dei 4 tipi fondamentali di campo o forza naturale (gravitazionale, elettromagnetico, nucleare forte e debole). Tale teoria sarebbe capace di spiegare ogni manifestazione della realtà naturale in termini di un’unico campo basilare, come già presagito da Einstein, che fu il primo a parlare di “campo unificato”.
Oggi gli scienziati sanno che l’attività mentale nell’uomo è riconducibile a processi chimici e fisici che avvengono a livello molecolare, atomico, e presumibilmente anche sub-atomico nel sistema nervoso, vale a dire nell’ambito di validità della meccanica quantistica, a livelli prossimi alla sfera di azione diretta del “campo unificato”.
Poiché dal “campo unificato” si dispiegherebbe ogni manifestazione in natura, è ragionevole ricercare la sua relazione con la mente dell’uomo.
Questo è il principale campo di ricerca della M.U.M., Maharishi University of Management (già M.I.U., Maharishi International University), Fairfield, Iowa, U.S.A., con cui collaborano o hanno collaborato prestigiosi scienziati (compresi fisici come il prof. Josephson, premio Nobel; il prof. Wigner, celebre fin dagli anni ’20; il prof. Hagelin, noto per i suoi studi sulle teorie di unificazione; il prof. Sudarshan; ecc.).
La M.U.M. ritiene che la “consapevolezza” o “coscienza” sia una proprietà che emerge direttamente dal “campo unificato”, ovvero dai livelli fondamentali della realtà naturale (Maharishi, 1982). Questa ipotesi audace risulta verosimile e fondata in base alle attuali conoscenze della fisica, e sembra avvalorata dai notevoli risultati pratici (oltre che teorici) ottenuti dalla M.U.M. sul funzionamento della mente e del sistema nervoso.
La coscienza come proprietà del campo unificato
Come abbiamo visto, l’attività mentale è un fenomeno quantistico. Bene: procediamo. Le attuali teorie fisiche dei campi includono la proprietà fisica dell’autoriferimento (come conseguenza della caratteristica matematica di non-abelianità). Grazie ad essa il campo unificato può “percepire se stesso”, ovvero le varie entità fisiche possono interagire (per esempio un elettrone che interagisce con un altro elettrone è semplicemente una perturbazione del campo unificato che “si accorge” della presenza di una perturbazione analoga).
L’autoriferimento può essere interpretato come il primo stadio elementare di “consapevolezza”, e si può ipotizzare che il cervello umano sia strutturato in modo da “amplificare” questa proprietà.
La “consapevolezza” non sarebbe il prodotto precario e quasi accidentale di un meccanismo biologico complesso (sistema nervoso e cervello), ma sarebbe una proprietà fisica fondamentale ed universale (presente a livello latente e primordiale nel “campo unificato”). Il cervello avrebbe invece la funzione di “evidenziare” ed “elaborare” questa straordinaria proprietà, così come un laser evidenzia alcune proprietà latenti della luce che normalmente non vengono rivelate.
Le onde cerebrali sarebbero pertanto un raro esempio di effetto quantistico che si manifesta alle scale dei fenomeni ordinari invece che a livello sub-atomico. Esse costituirebbero il residuo macroscopico di una funzione d’onda, ovvero una autentica macro-funzione d’onda (le funzioni d’onda sono le entità basilari della meccanica quantistica, che indicano la distribuzione spazio-temporale dei campi quantistici, e normalmente a scale superiori a quella atomica non sono più rivelabili ma appaiono condensate o come “materia” o come “forze”).
In fisica sono noti alcuni fenomeni straordinari che manifestano proprietà quantistiche a livello visibile. Per esempio nei “superconduttori” o nei “superfluidi” la resistenza elettrica e la viscosità risultano uguali a zero, per cui non vi è alcuna dissipazione di energia (l’entropia non aumenta). Un superfluido messo in movimento (per esempio scuotendolo) non si fermerà più.
In realtà anche la propagazione della luce è un fenomeno quantistico, descritto da una funzione d’onda di natura elettromagnetica (non a caso per l’esperienza comune la luce risulta un esempio evidente di energia “intangibile”, benché certamente fisica e reale).
Tuttavia la luce ordinaria non evidenzia interamente le proprietà quantistiche, poiché essa è luce “incoerente”: le oscillazioni della sua funzione d’onda sono “sfasate”, cioè disordinate, e tendono in massima parte ad auto-annullarsi. Il laser invece è una sorgente di luce “coerente”, le cui oscillazioni risultano “in fase” e permettono di rivelare le eccezionali proprietà dei campi elettromagnetici oscillanti (potenza, precisione, stabilità, eccetera).
La possibile analogia con il cervello umano è evidente: se si potessero rendere “coerenti” le onde cerebrali si potrebbero rivelare, nel funzionamento della mente, aspetti superiori del tutto naturali ma normalmente inespressi.
La coerenza cerebrale generata dalle tecniche di MT e MT-Siddhi.
La M.U.M. ha condotto numerose ricerche su alcune “tecniche mentali” che permettono di aumentare la “coerenza” delle onde cerebrali in modo semplice ed efficace per mezzo di un approccio soggettivo ma sistematico, come dimostrato da centinaia di ricerche scientifiche condotte da varie Università in tutto il mondo (1).
Tali tecniche, che derivano da antiche tradizioni dei Maestri Vedici dell’India, sono state accuratamente selezionate per adempiere allo scopo.
La loro metodologia merita di essere considerata “scientifica” per esattezza e riproducibilità, sebbene siano nate in un ambito estraneo alla scienza occidentale ed abbiano ereditato molti aspetti dalla loro tradizione originaria (come ad esempio la terminologia).
Si tratta delle tecniche di “Meditazione trascendentale” o “MT” (1957) e di “MT-Siddhi” (1976), così come sono state insegnate dal Maestro Maharishi Mahesh Yogi, che dopo essersi laureato in fisica trascorse molti anni sull’Himalaya dedito a profondissime ricerche nel campo della consapevolezza. Ovviamente la pratica di tali tecniche è indipendente da ogni possibile implicazione mistica o religiosa e permette semplicemente di portare l’attenzione della mente ai livelli in cui si suppone operi direttamente il campo unificato.
La coerenza cerebrale indotta da queste semplici tecniche permette un funzionamento più ordinato e naturale della mente e del sistema nervoso: per esempio producono un aumento dell’intelligenza ed una forte riduzione di “stress” e tensioni dannose (1).
Effetto di campo della coscienza: l’Effetto Maharishi
Secondo la M.U.M. le tecniche di MT e MT-Siddhi permettono alla mente di accedere ai livelli in cui il campo unificato opera direttamente, ovvero alla sfera da cui nasce ogni entità fisica ed ogni manifestazione dell’universo.
Questa notevole affermazione viene giustificata osservando che la coscienza deve essere considerata una qualità del campo unificato, per cui risulta perfettamente naturale che la mente possa accedere all’ambito quantistico ed acquisirne le qualità superiori di ordine e potenza. Questo è possibile se il sistema nervoso (che in ultima analisi è un sistema chimico-fisico, per quanto complesso e raffinato) raggiunge lo stato quantistico di “minima eccitazione”, come viene permesso dalle tecniche di MT ed MT-Siddhi.
Qualcuno potrebbe dubitare del fatto che la coerenza cerebrale osservata sia veramente prodotta dal campo unificato e potrebbe supporre che essa sia causata invece da “banali” fenomeni psico-fisiologici, secondari rispetto alla fisica fondamentale.
Ebbene, sono possibili varie risposte a tale obiezione. Anzitutto le analogie riscontrate con i fenomeni quantistici sono notevoli, per cui è lecito supporre che le tecniche in questione inducano realmente un macro-stato quantistico nel cervello dei praticanti: costoro riferiscono di provare a livello soggettivo le “qualità” di universalità, ordine perfetto, assenza di contenuti, illimitatezza ed invarianza nel tempo che oggettivamente si attribuiscono al “vuoto quantistico”. Così come ogni campo o particella in natura è uno stato eccitato del vuoto quantistico, analogamente ogni pensiero nel campo di coscienza di ogni individuo può essere considerato come un’eccitazione dello stato di “pura coscienza”, cioè di quello stato assoluto sperimentato durante le tecniche in questione. Tutto ciò è rimasto lungamente estraneo alla neuro-fisiologia poiché questa generalmente studia i convenzionali stati di coscienza, contraddistinti da un alto disordine: per analogia, le semplici leggi dell’emissione elettromagnetica da parte di un atomo di idrogeno non potrebbero essere mai ricavate studiando l’emissione luminosa di un sistema di molecole complesse ad alta temperatura.
Vi è infine una prova definitiva a favore dell’audace ipotesi in esame: se il campo unificato è realmente responsabile di questi fenomeni, si dovrebbe assistere ad un altro fenomeno straordinario: un “Effetto di campo della coscienza”, ovvero una propagazione della coerenza nell’ambiente circostante. In pratica l’aumento di coerenza dovrebbe estendersi ad altre persone, rendendo più naturale ed ordinato il funzionamento della loro mente. Se ciò avvenisse, decadrebbe ogni possibile obiezione sull’ipotesi proposta, poiché un fenomeno del genere sarebbe del tutto inspiegabile nei tradizionali termini neuro-fisiologici.
Il fenomeno in questione, detto “Effetto Maharishi”, è già stato osservatoe verificato più volte (2) (naturalmente si tratta solo di un effetto fisico, ovvero di un’induzione di coerenza che prescinde dai contenuti del pensiero e non produce “forzature” sulla volontà altrui). Molte persone si chiedono se un’influenza di questo tipo sia veramente possibile, ed anche per molti scienziati si tratta di un argomento “tabù”. Infatti, a causa dei nostri pregiudizi, esitiamo ad ammettere che anche la mente deve essere soggetta alle leggi naturali; ma questa è una verità che occorre riconoscere, se non si vuole ricadere nella metafisica (così l’accusa che generalmente viene rivolta agli scienziati della MIU viene facilmente capovolta!).
In realtà nell’Effetto Maharishi non avviene nulla di più strano di quanto avviene in una normale calamita, che crea un campo magnetico al suo esterno in virtù del suo ordine microscopico interno (ma in realtà l’Effetto Maharishi è paragonabile a ben più raffinati effetti quantistici).
Noi viviamo costantemente immersi in un “calderone” di campi fisici, come il campo gravitazionale, il campo magnetico terrestre, i campi elettromagnetici prodotti dalle varie emittenti radio-televisive o dai telefonini cellulari. La fisica moderna ha dimostrato che perfino la materia è una condensazione di campi quantistici. Perché mai una struttura fisica come il sistema nervoso dovrebbe rimanere estranea alle normali interazioni tra i diversi campi naturali? Negare questa possibilità significa assumere un atteggiamento chiuso, dogmatico e, in sostanza, antiscientifico.
L’Effetto Maharishi è paragonabile ad un importante effetto quantistico, il “diamagnetismo perfetto” (Effetto Meissner, 1957), che all’interno di un superconduttore annulla l’influenza dei campi magnetici esterni. Infatti l’Effetto Maharishi non “trasmette” propriamente delle influenze, ma piuttosto “elimina” le influenze negative sulle onde cerebrali (disordine prodotto da stress o altro), permettendo così il ripristino del funzionamento naturale della mente, ovvero di un’alta coerenza cerebrale (qualità intrinseca originaria del campo di coscienza).
Il campo fisico responsabile dell’Effetto Maharishi sarebbe il campo unificato stesso, non sotto un aspetto particolare (campo elettromagnetico o altro), ma nel suo aspetto fondamentale (Hagelin, 1986). Infatti l’Effetto Maharishi creerebbe piccole sollecitazioni nella struttura stessa dello spazio-tempo (3), che normalmente è descritta dalla teoria della relatività generale (Einstein, 1916).
Le verifiche dell’Effetto Maharishi
La scienza ha un carattere sperimentale e richiede una conferma concreta di ogni ipotesi o teoria: anche l’esistenza dell’Effetto di campo della coscienza deve essere sottoposta a verifica.
Ebbene, esistono già numerosi risultati a riguardo. I primi indizi sull’esistenza dell’effetto si ebbero negli anni ’70, negli Stati Uniti, quando i dati dell’FBI evidenziarono una notevole riduzione dell’indice di criminalità in alcune città in cui almeno l’uno per cento degli abitanti praticava la MT, mentre la tendenza nazionale era di un netto aumento (4).
In seguito molte ricerche hanno confermato che nelle comunità (città, regioni, Stati) in cui almeno l’1% della popolazione pratica la MT, si ottiene un netto miglioramento dei principali indici sociologici: ad esempio minor numero di episodi criminali, di incidenti, di malattie, e molte altre conseguenze positive (5). Si tratta di effetti statistici molto significativi, non imputabili alle normali fluttuazioni casuali: l’Effetto Maharishi risulta addirittura uno degli effetti sociologici più confermati e verificati.
Queste conseguenze sociologiche sono imputabili ad una riduzione del livello generale di stress, dovuta all’induzione di coerenza. L’effetto presenta una stretta analogia con vari fenomeni chimici o fisici (frequenti per esempio nel magnetismo), in cui una piccola frazione di elementi ordinati in un sistema disordinato riescono ad aumentare considerevolmente il grado di ordine collettivo del sistema. Alla M.U.M. si parla di una autentica “transizione di fase sociologica” indotta dall’Effetto Maharishi.
Negli ultimi anni è stato dimostrato che il potente programma di MT-Siddhi permette di ottenere l’Effetto Maharishi con un numero ridottissimo di persone, pari alla radice quadrata dell’1% della popolazione. Evidentemente questo è dovuto ad un aumento della coincidenza di fase tra i vari partecipanti al programma: grazie al principio dell’interferenza costruttiva, l’effetto risulta proporzionale non al numero dei partecipanti, ma al suo quadrato, e ciò permette la riduzione del numero dei partecipanti alla radice quadrata (3).
Alla fine del 1983 fu creato per la prima volta un Effetto Maharishi”Globale”, cioè di portata mondiale, grazie ad un’assemblea di 7000 “esperti” che per 3 settimane praticarono in gruppo il programma di MT-Siddhi (7000 era circa la radice quadrata dell’1% dell’intera popolazione mondiale). I risultati furono analoghi a quelli ottenuti in precedenza a livello locale, ma risultarono estesi a tutto il mondo. Si ebbe anche un forte rialzo simultaneo di tutti i mercati azionari (evento insolito), a testimonianza della vitalità diffusa dall’effetto (6).
I numerosi esperimenti condotti in seguito, sia a livello locale che mondiale, hanno regolarmente fatto registrare risultati sociologici positivi. L’Effetto Maharishi ha perfino prodotto forti attenuazioni della conflittualità in regioni afflitte da guerre (7).
Ovviamente i risultati sono stati analizzati con i sofisticati metodi statistici normalmente utilizzati negli studi sociologici ed in varie scienze (fisica compresa). Sull’Effetto Maharishi sono stati pubblicati vari articoli su riviste accademiche di sociologia e scienze politiche (8), che si uniscono ai numerosi articoli pubblicati da riviste di medicina e psicologia sulla MT e sulle MT-Siddhi (1).
Sulla base di questi straordinari risultati appare opportuno stabilire al più presto in ogni Nazione un “gruppo di coerenza” che permetta rapidi progressi nella soluzione dei vari problemi sociali, politici ed economici.
Note.
Uno dei primi articoli uscì su Science n.167, 1970, pag.1751 (Wallace, Physiological effects of Trascendental Meditation); il primo articolo in Italiano uscì su Le Scienze n.45, 1972, pag.70 (Wallace, Benson, Fisiologia della meditazione).
Da allora sono stati pubblicati innumerevoli articoli su riviste specialistiche; ad esempio:
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International Journal of Neuroscience, 14, 1981, 147;
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British Journal of Psychology, 73, 1982, 57;
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Journal of Mind and Behavior, 8, 1987, 67;
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Psychosomatic Medicine, 49, 1987, 493;
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Journal of Clinical Psychology, 45, 1989, 957;
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Journal of Social Behavior and Personality, 6, 1991, 957; e moltissimi altri.
Sull’Effetto Maharishi esistono decine di ricerche scientifiche, a partire dal 1976 (ad esempio v. punti 4, 5, 6, 7, 8)
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Hagelin, in Maharishi’s Programme to Create World Peace, Maharishi Vedic University, Vlodrop, Olanda, 1987, 18-20
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Borland, Landrith, Collected Papers vol.1, Maharishi European Research University, Rheinweiler, Germania, 1976, 639;
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Dillbeck, Landrith, Journal of Crime and Justice, 4, 1981, 25 ad es.: Dillbeck, Banus, Polanzi, Landrith, Journal of Mind and Behavior, 9, 1988, 475
L’esperimento fu condotto nello Iowa, USA, dal 17/12/1983 al 6/1/1984; è descritto nel seguente l’articolo: Orme-Johnson, Cavanaugh, Alexander, Gelderloos, Dillbeck, Lanford, Abou Nader, The influence of the Maharishi Technology of the Unified Field on world events and global social indicators, pubblicato congiuntamente nel 1984 dalla Maharishi International University, Fairfield, Iowa, USA, e dal prestigioso Massachussets Institute of Technology, Cambridge, Massachussets, USA, Department of Nutrition and Food Science.
Ad esempio sono stati condotti con successo degli esperimenti in Libano ed Israele: Orme-Johnson, Alexander, Davies, Chandler, Larimore, Journal of Conflict Resolution, 32, 1988, 776
Oltre agli articoli citati ai punti 4, 5, 7:
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Dissertation Abstact International, 49(8), 2381;
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Social Science Perspectives Journal, 2(4), 1988, 80; ed altri.
Inoltre si segnalano alcuni articoli specialistici a favore dell’ipotesi che la consapevolezza sia una proprietà elementare già latente nei campi fisici fondamentali (invece che un aspetto dovuto esclusivamente alla complessità degli organismi biologici):
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Domash, Is pure consciousness a macroscopic quantum state in the brain?, Maharishi European Research University, Seelisberg, Svizzera (1975);
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Hagelin, Is consciousness the unified field? A field theorist’s perspective, Modern Science and Vedic Science 1 (1987), rivista ufficiale della Maharishi University, Fairfield, Iowa, USA;
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Hagelin, Restructuring Physics from its foundation, Fermilab Library (1990);
Poiché essi sono di difficile reperibilità, aggiungiamo alcuni articoli particolarmente significativi e facilmente reperibili in ambienti scientifici:
Walker; Mathematical Biosciences 7 (1970).
Stuart, Takahashi, Unezawa; Foundations of Physics 9 (1979); Stapp; Foundations of Physics 12 (1982); Stapp; Foundations of Physics 15 (1985); Possiamo segnalare anche alcuni articoli sull’influenza decisiva di alcuni effetti quantistici sull’attività mentale: Beischer; Annals of the New York Academy of Science 188 (1971); Cope; Physiological Chemistry and Physics 6 (1974); Little; Mathematical Biosciences 19 (1974); Del Giudice, Doglia, Milani, Vitiello; Nuclear Physics B 251 (1985).
Per essere compresa, la questione va collocata nella moderna concezione della fisica, basata sulla dinamicità dei campi fisici elementari, dei quali la materia è solo un sottoprodotto che si manifesta come una struttura stabile dotata delle ben note proprietà meccaniche. Pertanto la vecchia e rigida sequenza logica: Materia inanimata – che dà origine a: Materia organica – che a sua volta dà origine a: Vita – che a sua volta dà origine a: Consapevolezza e mente degli organismi biologici complessi; viene modificata poiché il livello 1 deve essere ricondotto ad un ulteriore livello: Campi fisici fondamentali; che è quello veramente basilare e che può agire direttamente anche sui livelli 2, 3 e 4. Per esempio, nel citato lavoro di Walker (1970) si evidenzia in che modo le decisioni consapevoli prese da un uomo o da un animale siano riconducibili ad effetti puramente quantistici che avvengono nelle sinapsi neuronali.
La perplessità di alcuni biologi, medici o psicologi in merito a questi argomenti d’avanguardia si può spiegare con la loro scarsa familiarità con la visione fornita dalla fisica contemporanea. A loro volta alcuni fisici possono rimanere perplessi poiché non sono abituati a considerare la “consapevolezza” come un tema di loro pertinenza.
La filosofia di “Ipotesi sulla realtà”
La coscienza è il teatro, e precisamente l’unico teatro su cui si rappresenta tutto quanto avviene nell’universo, il recipiente che contiene tutto, assolutamente tutto, e al di fuori del quale non esiste nulla (Erwin Schrödinger, fisico) Fin dalla sua nascita, avvenuta nel XVII secolo, la Scienza moderna ha escluso il concetto di “mente” dal mondo oggettivo che intendeva studiare.
Dovendo spiegare tutto in termini rigorosamente materialistici, nei secoli successivi la Scienza ha inevitabilmente considerato la “mente” come un aspetto secondario della natura, nato per caso sul nostro pianeta e confinato nel cervello dell’uomo e degli animali superiori.
Ma le sorprendenti scoperte della fisica di questo secolo potrebbero sconvolgere questa concezione “ottocentesca” della realtà. Al livello della fisica sub-atomica esistono solo campi di energia, che vibrano o si propagano per onde (come la luce): l’aspetto “solido” della materia è solo un risultato grossolano dovuto al gioco delle forze sub-atomiche, le quali derivano da un unico campo fondamentale che Einstein definì “campo unificato”.
In pratica, l’universo che sembrava intrinsecamente materiale ha rivelato che la sua essenza fondamentale è pura energia immateriale (non molto diversamente da quanto immaginava Berkeley, filosofo del secolo XVIII che reagì all’illuminismo materialistico con il suo “empirismo idealistico”).
I campi fondamentali di energia che costituiscono la base della realtà fisica, obbedendo alle leggi proprie della fisica quantistica, manifestano un ordine intrinseco che rivela, al livello del campo unificato, l’intelligenza più profonda della natura.
Einstein ed altri scienziati si sono spesso meravigliati del cosiddetto “parallelismo tra pensiero e leggi fisiche”, cioè del fatto che le leggi naturali siano esprimibili in termini logico-matematici (ovvero in termini di “leggi del pensiero”).
Nella concezione che stiamo per esporre ciò non è affatto sorprendente, poiché realtà oggettiva e pensiero soggettivo nascono direttamente da un’unico principio. Come disse Hegel, “Ciò che è razionale è reale e ciò che è reale è razionale” (e già Schelling aveva sottolineato che la fisica, con le sue leggi, stava riducendo il mondo “materiale” a puro pensiero).
Un altro aspetto soprendente e di cruciale importanza è il seguente. La fisica quantistica, che descrive questi livelli fondamentali della realtà, presenta incredibili paradossi che coinvolgono l’osservatore cosciente: l’universo non si trov in uno stato puramente “oggettivo”, poiché un sistema fisico può comportarsi in modi diversi a seconda della conoscenza che ne ha l’osservatore! Negli ultimi anni tale inaspettata natura della realtà fisica è stata confermata da vari esperimenti, ma l’argomento è rimasto pressocché sconosciuto all’opinione pubblica (e perfino a molti scienziati).
Per fortuna alcuni semplici esperimenti condotti recentemente su dei fasci di luce laser ha reso più comprensibile questa tematica (Le Scienze n.235, 1988; Le Scienze n.289, 1992).
A tale riguardo si consiglia vivamente la lettura dell’articolo: “La fisica quantistica sembra suggerire che l’universo sia una struttura mentale”.
Tale articolo, oltre ad introdurre i nuovi concetti imposti alla scienza dalla fisica quantistica, espone alcune questioni di grande rilevanza filosofica, come l’esistenza del “libero arbitrio” negli esseri coscienti (paragrafo 8), resa possibile dal principio di indeterminazione di Heisenberg, che lascia un margine di “indeterminazione” (per l’appunto), e permette così un allontanamento dal “determinismo assoluto” in cui credeva la fisica ottocentesca.
Inoltre l’articolo in questione dimostra al di là di ogni dubbio che la concezione materialistica ed oggettivistica dell’universo (il cosiddetto “realismo di Einstein”) deve necessariamente lasciare il posto ad una nuova concezione, che in filosofia si direbbe decisamente “idealistica”.
Infatti gli “stati” fisici in cui si trovano gli oggetti dell’universo (a livello microscopico) sono degli stati “astratti”, che portano in se delle potenzialità fisiche ma non sono definiti oggettivamente fino al momento della misura da parte dell’osservatore: insistere nel costruire un’immagine oggettiva di tali stati nello spazio, conduce ad incredibili paradossi (che vengono abbondantemente descritti nel lungo articolo in questione, e vale davvero la pena di leggerlo).
In definitiva, anche se molti scienziati non se ne rendono conto (o non vogliono farlo), tali scoperte (che riguardano fatti reali ed incontrovertibili ed hanno permesso concrete innovazioni tecnologiche) ci riportano verso una concezione simile alla visione di vari filosofi “idealisti” (da Platone a Schelling, da Berkeley a Fichte e ad Hegel), secondo cui la realtà naturale è solo una manifestazione di un principio mentale universale.
La concezione della realtà che sembra delinearsi da queste scoperte presenta straordinarie affinità con le concezioni della tradizione orientale, ed in particolare della filosofia indiana, la cui concezione può essere definita un “monismo idealistico” (non molto diverso da quello di Plotino o di Schelling).
Secondo la filosofia indiana, ogni manifestazione in natura nasce da un unico principio trascendentale, il Brahman, che è pura ed infinita potenzialità immanifesta.
Il concetto in questione è praticamente identico a quello accettato nella fisica contemporanea, in cui ogni particella o campo di forze è una manifestazione di un unico “campo unificato”, ovvero una perturbazione dello stato di “vuoto quantistico”.
A tale proposito si invita a leggere l’articolo di presentazione scientifica.
Secondo la filosofia indiana inoltre l’intima natura del Brahman è “pura consapevolezza indifferenziata”. Ed infatti gli incredibili esperimenti di cui si è parlato sopra a riguardo della fisica quantistica confermano l’esistenza di paradossi di “natura mentale” nella realtà fisica a livello fondamentale.
Infine le tecniche mentali riscoperte ed insegnate da Maharishi Mahesh Yogi, Maestro indiano laureato in fisica, permettono di identificare lo stato di “pura consapevolezza” sperimentabile soggettivamente, con il “campo unificato” studiato oggettivamente dalla fisica contemporanea.
Le tecniche di Maharishi permettono il raggiungimento di “stati superiori di coscienza” che esteriormente si manifestano con un’altissima coerenza delle onde cerebrali, capace di produrre incredibili fenomeni, come l’Effetto Maharishi, ed anche con delle modificazioni psico-fisiologiche fortemente benefiche per l’individuo che pratica le tecniche in questione.
Ma per approfondire questi temi si rimanda agli altri articoli, in particolare al già citato articolo di presentazione scientifica e all’ articolo di presentazione medico-psicologica.
In definitiva la nuova concezione che si delinea da queste conoscenze supera le desolanti convinzioni che considerano l’uomo come un accidente del caso e gli restituiscono la sua piena dignità di Re dell’universo.
Non si tratta necessariamente di un ritorno all’antico antropocentrismo. Si tratta semplicemente di riscoprire l’importanza dell’esistenza della consapevolezza nell’universo e (poiché il campo unificato va inteso come un principio psico-fisico e non solo fisico) di considerarla come fenomeno fondamentale e forse come scopo dell’universo stesso (concezione finalistica).
Nota:
anche se non vogliamo parlare di “antropocentrismo”, occorre notare che nel 1970 l’astrofisico Brandon Carter formulò il cosiddetto “principio antropico”, basandosi su sconcertanti indizi solitamente ignorati, che sottolineerebbero l’esistenza di “incredibili coincidenze cosmiche” le quali avrebbero permesso la vita dell’uomo e rivelerebbero in realtà che lo scopo stesso dell’universo sarebbe appunto la nascita dell’uomo (per esempio si veda l’articolo “L’universo come parte di noi” di J.Gribbin, L’Astronomia n.97, 1990). Va anche precisato che successivamente altri scienziati hanno modificato il “principio antropico” snaturandone e stravolgendone il significato originario attribuitogli da Brandon Carter.
Nota sull’autore della citazione all’inizio di questa pagina.
Erwin Schrödinger, fisico austriaco (Vienna 1887-1961), premio Nobel nel 1933, celeberrimo per aver sviluppato la geniale equazione d’onda che sistema definitivamente la meccanica quantistica, teoria cardine della fisica moderna.
Versatile, eclettico e dotato di una visione completa della vita e della realtà, fu anche il primo scienziato ad intuire l’esistenza del DNA, che egli chiamò “cristallo aperiodico”, parecchi anni prima che i biologi Watson e Crick lo scoprissero ufficialmente (riconoscendo poi di essere stati ispirati dalle sue indicazioni).
Dotato anche di una straordinaria intuizione filosofica, egli può essere considerato a tutti gli effetti un erede dell’idealismo di Kant, Fichte e Schelling, sebbene si dichiarasse seguace di Schopenhauer. Facendo spesso riferimento al Vedanta di Shankara, si dimostrò anche un profondissimo estimatore dell’idealismo indiano.
Molte pagine del libro “Ipotesi sulla realtà”, per esempio nel cap.4, sono state da lui ispirate.
Aspetti riguardanti la psicologia, la neurologia e la medicina in generale
Come si può dedurre dalla lettura dei precedenti articoli, questo sito propone una teoria ambiziosa che pretende di spiegare da un’unico principio la realtà “oggettiva” e l’esistenza della “mente” negli organismi viventi.
Oggi la “mente” viene normalmente considerata una conseguenza secondaria delle leggi naturali, nata per caso sul nostro pianeta in seguito ad alcune interazioni chimiche complesse, e confinata nel cervello dell’uomo e degli animali superiori.
Viceversa questo sito, riferendosi a numerosi indizi di varia natura (poco conosciuti), propone una concezione in cui la mente (o meglio la “consapevolezza”) sia una proprietà intrinseca delle leggi fisiche a livello fondamentale.
Per l’analisi di questa ipotesi si rimanda agli altri articoli. In questo breve articolo invece si intende sottolineare l’importanza di alcuni argomenti trattati nel sito e che riguardano la psicologia e la medicina.
Anche restando perplessi o scettici rispetto all'”Ipotesi sulla realtà” nella sua interezza, resta innegabile la straordinaria validità in campo psicologico, neurologico e medico delle tecniche mentali presentate nel sito (ma ancora poco conosciute).
Pertanto anche coloro che non colgono o non accettano l’ambiziosa unità di fondo sottintesa nell'”Ipotesi sulla realtà” dovrebbero riconoscere l’importanza delle tecniche in questione.
Oggi viene ormai accettata la validità di alcune tecniche mentali, come il training autogeno, il biofeedback, ed anche di alcune tecniche di meditazione di origine orientale, ma pochi sanno che tra queste ultime vi è una tecnica specifica che ha dimostrato evidentissimi effetti neuro-fisiologici.
Uno dei primi articoli in lingua italiana comparve su Le Scienze già nel 1972 (“Fisiologia della meditazione”, di Wallace e Benson, Le Scienze n.45).
L’articolo inizia chiedendosi se è vero che alcuni orientali esperti in tecniche “yoga” o “zen” ottengano modificazioni fisiologiche, non necessariamente eccezionali come riportato da alcuni (arresto del battito cardiaco o del respiro, ecc.), ma rilevabili scientificamente.
L’articolo riporta una carrellata di testimonianze e ricerche di medici occidentali in Oriente, senza però riportare alcuna esperienza facilmente riproducibile. A questo punto l’articolo introduce la tecnica che ci interessa (citiamo testualmente a partire da pag.72): “Fortunatamente c’è una tecnica yoga [mentale e non fisica] largamente praticata che è così ben standardizzata da permetterci di condurre degli studi su vasta scala in condizioni ragionevolmente uniformi. Questa tecnica, detta “Meditazione Trascendentale” [MT], è stata introdotta da Maharishi Mahesh Yogi [Maestro indiano laureato in fisica, che ha trascorso parecchi anni effettuando ricerche sulla “consapevolezza” in base ad antichissime tecniche oggi quasi dimenticate] e viene insegnata da un’organizzazione di istruttori che egli addestra di persona. La tecnica non richiede una concentrazione intensa o particolari forme di rigoroso controllo fisico e mentale e si impara facilmente cosicché tutti i soggetti che si sono sottoposti a un periodo di allenamento anche relativamente breve sono “esperti”. Consiste semplicemente in due sedute al giorno di pratica, ciascuna di 15-20 minuti.
A questo punto l’articolo evidenzia i risultati ottenuti durante e dopo la pratica della MT, secondo quanto ottenuto da vari ricercatori di diverse Università.
L’aspetto più importante è una forte diminuzione dello stress e delle tensioni, testimoniata da una rapida e notevole diminuzione della concentrazione del lattato ematico, dall’aumento della resistenza elettrica cutanea, da una forte diminuzione del consumo di ossigeno e della produzione di anidride carbonica, da un aumento dell’intensità delle onde alfa “lente” (8-9 cicli/sec) nell’analisi EEG (sintomo di forte rilassamento), e da altri effetti.
Negli anni successivi sono state condotte centinaia di ricerche scientifiche (da varie Università di tutto il mondo) su questi ed altri effetti, che confermano l’eccezionale efficacia della tecnica di MT nella riduzione di stress e tensioni, nell’aumento dell’intelligenza e della chiarezza mentale, nell’aumento della “coerenza” delle onde cerebrali e nell’ottenimento di altri benefici neurologici, fisiologici, psicologici e sociologici (per esempio diminuzione del consumo di tabacco, alcool, droghe, diminuzione dei comportamenti illegali, ecc,).
La MT si è rivelata efficace non solo su persone afflitte da problemi di varia natura, ma anche su persone già soddisfatte e realizzate.
Secondo Maharishi Mahesh Yogi (il quale sottintende che l’attività mentale è dovuta a processi fisico-chimici che avvengono ai livelli “fondamentali” descritti dalla fisica quantistica) la MT permette alla mente di sintonizzarsi con l’ordine perfetto del “campo unificato” studiato dalla fisica contemporanea, fonte di ogni manifestazione in natura.
I benefici psico-fisiologici sono pertanto considerati una conseguenza della sintonia con l’ordine di questo campo fondamentale che è alla base delle leggi naturali.
Infatti la MT è il prodotto di una concezione molto più vasta rispetto ad una teoria psico-fisiologica: si tratta du una visione scientifica completa (“olistica”), che coinvolge i livelli più profondi della realtà naturale e la loro relazione con la mente umana. Come già detto, tale tematica è trattata negli altri articoli, la cui lettura è vivamente consigliata.
Da alcuni anni Maharishi Mahesh Yogi ha riscoperto anche l’antica medicina tradizionale indiana (Ayurveda).
Attualmente l’Ayurveda Maharishi è l’unico che abbia una dignità scientifica riconosciuta (a differenza di altre versioni di “Ayurveda” di dubbia validità e di scarsa affidabilità).
Sono molti i medici occidentali che prescrivono i preparati dell’Ayurveda Maharishi: essi trovano già una vasta diffusione presso le normali farmacie.
Alcuni preparati Ayurvedici, sottoposti a rigorose ricerche da parte di medici occidentali, hanno dimostrato un’efficacia straordinaria.
In particolare l’Amrit Kalash (MAK 4 e 5), preparato Ayurvedico che intende aiutare la salute in generale, aumentare il tono dell’umore e prevenire le malattie, si è rivelato eccezionalmente valido sotto diversi punti di vista ed in varie applicazioni specifiche, come ad esempio nell’eliminazione dei radicali liberi, e perfino nella cura di malattie come cancro ed AIDS.
Ricerche scientifiche sull’Ayurveda Maharishi Va sottolineato che l’Ayurveda (“Scienza della Vita”) intende la salute in senso globale (“svasti” significa contemporaneamente “salute perfetta” e “felicità”): per essere considerata “sana” una persona deve essere tale sia fisicamente che psicologicamente.
Ed infatti nell’Ayurveda Maharishi la MT assume un’importanza primaria.
Note.
La fisica quantistica sembra suggerire che l’universo sia una struttura mentale –
Questa tematica è molto controversa e viene rifiutata o ignorata da molti fisici ancora legati a vecchi pregiudizi (v. paragrafo 10 di questo stesso articolo).
Fatto sta che la verità evidenziata dagli esperimenti conduce inevitabilmente verso la sorprendente concezione di un “universo mentale”.
– Alcuni decenni fa James Jeans (celebre fisico ed astronomo) disse: “L’universo comincia a sembrare più simile ad un grande pensiero che non a una grande macchina”. Le scoperte degli ultimi decenni confermano tale intuizione, e oggi possiamo dire che l’universo è una “grande mente” o quantomeno una struttura “software”. Il presente articolo intende dimostrare la validità di queste audaci affermazioni.
– Questo articolo è molto importante poiché espone i risultati di alcuni recenti esperimenti di estremo interesse (alcuni di essi non sono descritti nel libro Ipotesi sulla Realtà, la cui prima edizione risale al 1991).
Nota: anche se in alcuni punti risultasse difficile, si consiglia di proseguire la lettura per poter comprendere pienamente i sorprendenti paradossi illustrati nella parte finale.
Ad una prima lettura veloce è possibile saltare le parti più impegnative o quelle meno importanti (come indicato nel testo stesso).
Solo in caso di estrema difficoltà si può saltare direttamente al paragrafo 11 (“Interferenza quantistica”) e da lì proseguire fino alla fine, ma in tal caso alcuni termini risulteranno incomprensibili.
Per rendere perfettamente comprensibili gli esperimenti, alcuni concetti sono stati ripetuti più volte.
1 – La meccanica quantistica.
La “meccanica quantistica” descrive il comportamento della realtà fisica a livello molecolare, atomico e sub-atomico (nucleare e sub-nucleare). A queste scale microscopiche la natura non si comporta in conformità alle leggi della fisica classica, che è stata sviluppata tra i secoli XVII e XIX e descrive i fenomeni che coinvolgono i familiari oggetti della vita quotidiana.
Va notato che la meccanica quantistica è in fisica (e in tutta la scienza) la teoria che fornisce i risultati più precisi. Essa trova una miriade di applicazioni in vari campi dell’attuale tecnologia, sia nel bene che nel male, dalle armi nucleari ai semiconduttori (che hanno permesso l’esplosivo sviluppo dell’elettronica e dell’informatica), dai reattori nucleari al laser (ciò che interessa sottolineare qui è che la teoria “funziona” perfettamente, ovvero stiamo trattando di qualcosa di estremamente valido e concreto).
Il nome della teoria deriva dal concetto di “quanto”, introdotto da Planck nel 1900 per spiegare alcuni fenomeni fisici altrimenti inspiegabili (riguardanti la termodinamica della radiazione elettromagnetica).
Planck ipotizzò che l’Energia della radiazione elettromagnetica (ad esempio luce, onde radio, raggi X ecc.) non potesse variare in modo continuo ma potesse assumere solo valori multipli di un certa quantità minima, detto appunto “quanto” o “quantum”. La validità di tale ipotesi poi fu confermata (ed estesa) con gli esperimenti sull’Effetto fotoelettrico (Einstein 1905, lo stesso anno della sua formulazione della teoria della relatività ristretta).
Ma l’emissione e la propagazione della luce per “quanti” era solo una delle caratteristiche particolari della nascente “meccanica quantistica”, che nei 20-30 anni successivi avrebbe evidenziato aspetti molto più strani; la teoria fu completata al finire degli anni ’20, ma le ricerche sui suoi paradossi sono continuate e vengono tuttora effettuate, come vedremo.
2 – Stati non-oggettivi e misurazione fisica.
In fisica classica non vi sono limitazioni di principio alla misurazione delle caratteristiche di un sistema fisico: per esempio ad ogni istante possiamo misurare la posizione di un certo oggetto in movimento, la sua velocità, la sua energia, ecc.
Non è così nella meccanica quantistica: gli oggetti “quantistici” (atomi, elettroni, quanti di luce, ecc.) si trovano in certi “stati” indefiniti, descritti da certe entità matematiche (come la “funzione d’onda” di Schrödinger).
Soltanto all’atto della MISURAZIONE fisica lo “stato”, precedentemente “astratto” e indefinito, fornisce un valore reale; ma finché la misura non viene effettuata, l’oggetto quantistico rimane in uno stato che è “oggettivamente indefinito”, sebbene sia matematicamente definito: esso descrive solo una “potenzialità” dell’oggetto o del sistema fisico in esame, ovvero contiene l’informazione relativa ad una “rosa” di valori possibili, ciascuno con la sua PROBABILITA’ di divenire reale ed oggettivo all’atto della misura.
3 – Stati ed Autostati.
Nota: La trattazione del presente paragrafo non è facilissima; eventualmente il lettore può saltare direttamente al paragrafo successivo.
Nel linguaggio della meccanica quantistica, si dice che all’atto della misura lo stato “collassa” in uno dei tanti potenziali “autostati” dotati di “autovalore” definito (gli “autostati” sono quei particolari “stati” che esistono “oggettivamente” nella realtà fisica. Gli altri “stati” invece sono delle “sovrapposizioni” di autostati, e come tali non hanno corrispondenza oggettiva nella realtà fisica, pur descrivendo perfettamente il sistema quantistico in esame).
Per fare un semplice esempio, consideriamo un certo elettrone: esso ad un certo istante non avrà un’Energia definita, ma si troverà in uno stato potenziale che contiene: – al 20% l’autostato di Energia 150 eV; – al 35% l’autostato di Energia 160 eV; – e al 45% l’autostato di Energia 170 eV.
Per inciso, sono possibili stati molto più complessi di questo.
All’atto della misura, lo stato dovrà “scegliere” uno dei tre possibili “autovalori” dell’Energia (150 o 160 o 170 eV, valori “quantizzati”, ovvero discontinui), ovvero dovrà “collassare” in uno dei tre “autostati” che esistono “oggettivamente” nella realtà fisica (nota: eV significa elettron-Volt ed è un’unità di Energia utilizzata in fisica atomica, nucleare e sub-nucleare).
Per fare un altro esempio, un certo elettrone ad un certo istante non avrà una posizione definita, ma avrà una “rosa” di posizioni possibili, descritta collettivamente da una “funzione d’onda” (che in questo caso avrà autovalori “continui” e non “discontinui”). All’atto della misura, l’elettrone verrà rivelato solo in un punto tra quelli possibili, ovvero la “funzione d’onda” collasserà in un singolo punto.
Fra le numerose “stravaganze” quantistiche, possiamo qui ricordare l’Effetto tunnel (che è impiegato per esempio nelle tecnologie dei semiconduttori; ed è responsabile anche della emissione di particelle da parte dei materiali radioattivi). L’Effetto tunnel permette alle particelle quantistiche di avere una probabilità di trovarsi fuori dai confini che le sarebbero imposte dalla fisica classica. Per esempio, consideriamo una piscina vuota, con una palla che rimbalza al suo interno senza però avere l’energia necessaria per uscire: le pareti della piscina rappresentano una “barriera di energia potenziale”. Ebbene, in una situazione analoga, ma in ambito quantistico, una particella avrebbe una certa probabilità (seppure minima) di trovarsi al di fuori delle barriere di energia potenziale!
4 – Il principio di indeterminazione.
Per ragioni di principio, non è possibile in alcun modo prevedere quale valore effettivo si avrà all’atto della misura, ma si ha soltanto una rosa di probabilità su certi valori definiti (questi valori possibili però sono definiti esattamente, con grande precisione): vi è quindi una “indeterminazione” sui valori della misura (nota: ciò non altera l’utilità delle applicazioni della meccanica quantistica, che in certi campi, come in spettroscopia, ottiene delle precisioni sbalorditive sulla previsione degli “autovalori” effettivamente misurati).
Questo fatto fu espresso da Heisenberg nel 1927 col celebre “Principio di indeterminazione”. Per esempio se misuriamo con grande precisione la posizione di una particella, avremo una certa indeterminazione sulla sua velocità, e viceversa (nota: ciò è dovuto al fatto che l'”autostato” della posizione NON è anche anche “autostato” della velocità, perché rispetto agli autovalori della velocità esso si trova in uno “stato di sovrapposizione”; e viceversa).
5 – La realtà è in parte creata dall’osservatore cosciente?
In definitiva, gli oggetti quantistici si trovano in certi stati che NON sono definiti oggettivamente: le caratteristiche reali ed oggettive sono definite solo quando vengono misurate, e quindi sono “create” in parte dall’osservatore.
Questa fu l’interpretazione della meccanica quantistica che fu proposta da alcuni scienziati già alla fine negli anni ’20: così’ la figura dell’osservatore cosciente fece capolino in una scienza – la fisica – fino ad allora considerata rigorosamente oggettiva (notiamo che le grandezze fisiche misurabili in meccanica quantistica, come la posizione, l’energia, la quantità di moto, ecc., vengono chiamate “osservabili”).
Vi furono subito delle reazioni a tale concezione, poiché in fisica era sottinteso da sempre che l’universo esiste in uno stato oggettivo, indipendentemente dal fatto che noi lo osserviamo o meno!
6 – Prime reazioni: l’interpretazione di Copenaghen.
Ovviamente le reazioni a tale interpretazione furono subito numerose ed energiche, e misero a confronto le convinzioni di grandissimi scienziati, come Einstein (che riteneva che la meccanica quantistica fosse incompleta o comunque inaccettabile in questa forma) e come Bohr (che sosteneva invece la validità della teoria in questione).
Prima di analizzare le obiezioni di Einstein, che probabilmente sono simili a quelle che il lettore avrà nel frattempo maturato durante la lettura dei paragrafi precedenti, occorre notare che lo stesso Bohr volle subito eliminare la figura di un osservatore cosciente, troppo scomoda per una scienza ritenuta puramente oggettiva.
Tale iniziativa si rese necessaria anche per la critica rivolta da Schrödinger con il suo scherzoso “paradosso del gatto”, che per brevità qui non citeremo (per inciso, è singolare che Schrödinger assumesse una posizione critica verso la necessità di un “soggetto cosciente” nella teoria quantistica, mentre invece nelle sue considerazioni filosofiche egli considerava l’intero universo come un “prodotto del pensiero”!).
Nacque così la cosiddetta “interpretazione di Copenaghen” della meccanica quantistica, che prese il nome dalla città di Bohr, in cui operavano anche altri importantissimi scienziati come Heisenberg, Pauli, Born. Tutti questi fisici sono considerati i fondatori della meccanica quantistica insieme a Planck, allo stesso Einstein (che poi prese le distanze da tale teoria), a De Broglie, Schrödinger e Dirac.
Secondo l’interpretazione di Copenaghen, è vero che la realtà quantistica esiste in uno stato indefinito e “non-oggettivo”, ma non per questo è necessaria la figura di un osservatore cosciente: è sufficiente che avvenga una “reazione termodinamica irreversibile” affinché lo stato non oggettivo diventi uno stato oggettivo: per esempio un elettrone, per poter essere riscontrato in un rivelatore, deve avere una “reazione termodinamica irreversibile” col rivelatore stesso, e tale reazione è sufficiente a rivelarlo nel “mondo oggettivo” della fisica classica senza necessità di un soggetto cosciente che se ne accorga.
Così, nacque anche l’interpretazione “operativa” del principio di indeterminazione: per poter misurare una caratteristica di un oggetto fisico, occorre necessariamente interagire con esso, e questa interazione “perturba” inevitabilmente lo stato originario, creando appunto la piccola “indeterminazione”. In questo modo, secondo gli scienziati di Copenaghen, si ottiene un’interpretazione del tutto ragionevole ed accettabile.
In realtà questo non spiega il “mistero” della non-oggettività degli oggetti quantistici prima della misura (e vedremo più avanti che tale non-oggettività è strettamente necessaria per la coerenza della teoria con gli esperimenti e crea degli incredibili paradossi).
Inoltre l’espediente di Copenaghen, nato al puro scopo di eliminare la figura del soggetto cosciente dalla teoria, si scontra con varie difficoltà. Anzitutto sembra contraddittorio che l’esistenza del mondo microscopico, cioè subatomico, debba dipendere da eventi “macroscopici” nell’ambito della fisica classica, quando invece è il mondo macroscopico ad essere costituito da un insieme di eventi microscopici! Inoltre recentemente il gruppo di R.Chiao, dell’Università di Berkeley, ha dimostrato che il “collasso della funzione d’onda” non è necessariamente irreversibile come credevano gli scienziati di Copenaghen. Questo argomento sarà trattato più avanti.
7 – La reazione di Einstein.
La critica di Einstein e di altri fisici fu molto più radicale: essi sostennero che la meccanica quantistica era una teoria incompleta e provvisoria, che avrebbe dovuto essere perfezionata col tempo per eliminare alcuni aspetti indesiderati, sebbene funzionasse perfettamente sul piano sperimentale.
Col senno di poi, possiamo dire che questa fu una delle poche intuizioni errate di Einstein: la sua “fedeltà” alla concezione puramente oggettiva dell’universo fu così forte da indurlo a dubitare di una teoria – la meccanica quantistica – che lui stesso aveva contribuito a fondare! Anzitutto Einstein non accettava che esistesse un’indeterminazione sulle misure quantistiche, ovvero che i risultati non fossero pienamente determinabili in anticipo: ciò, secondo Einstein, introduceva nella fisica l’influenza del “cieco caso”, per lui assolutamente inaccettabile. A questo proposito viene ricordata la sua celebre frase: “Dio non gioca a dadi con il mondo!”.
Inoltre Einstein non credeva alla possibilità di “stati non-oggettivi”, ma riteneva che gli stati esistessero oggettivamente anche prima della misura, indipendentemente dal fatto che vengano misurati o meno. Insomma, per Einstein (come probabilmente anche per il lettore o qualsiasi persona che non abbia ancora accettato il nuovo messaggio implicito nella meccanica quantistica) l’universo deve esistere oggettivamente, sia che noi l’osserviamo o meno!
8 – Il libero arbitrio.
Questo paragrafo contiene delle considerazioni filosofiche che possono essere saltate in caso di una lettura veloce.
Riallacciandosi alla frase di Einstein sulla presunta casualità insista nella meccanica quantistica, occorre precisare quanto segue.
Nell’interpretazione di Ipotesi sulla realtà, la scelta dei differenti autovalori non è casuale ma è una “scelta cosciente” dovuta ad una piccola “volontà della natura”, che ha un piccolo margine per deviare il corso degli eventi dal determinismo assoluto (in cui la fisica credeva fino al 1926, cioè prima del principio di indeterminazione). In altre parole, l’indeterminazione quantistica permette un piccolo margine per un “libero arbitrio” della natura, che poi viene “amplificato” e “valorizzato” negli organismi biologici e quindi nell’uomo.
Questo punto assume un’importanza filosofica colossale, perché solo in questa ipotesi l’uomo viene ad assumere una vera libertà nelle sue azioni.
Nella concezione del determinismo assoluto invece egli è semplicemente un burattino in balia della natura, che segue il suo corso in base alle rigidissime leggi fisiche: un destino ineluttabile, in cui credettero Laplace ed altri scienziati nel corso del secolo XIX, relegando il libero arbitrio al rango di “pura illusione”.
Ammettendo invece l’esistenza dell’indeterminazione (che oggi la fisica accetta pienamente), la situazione non migliora molto per l’uomo, perché egli da burattino in balia di leggi fisiche rigidissime diventa burattino in balia del caso cieco! Ecco perché la concezione di Ipotesi sulla realtà è l’unica che può restituire all’uomo la sua dignità di essere dotato di volontà.
9 – Realismo e località di Einstein.
Secondo il “realismo” di Einstein, gli stati quantistici esistono oggettivamente, indipendentemente da tutte le limitazioni imposte dalla teoria quantistica, che perciò secondo Einstein è incompleta e provvisoria.
Esisterebbero quindi delle “variabili nascoste” che descrivono la realtà oggettiva dei sistemi quantistici, ma non sono ancora riconosciute dall’attuale teoria.
Per fare un paragone banale, immaginiamo che una persona abbia in mano una certa carta da gioco. In base ad alcune conoscenze, noi sappiamo che tale carta può essere – diciamo – l’asso di denari o il re di cuori, ma non sappiamo quale delle due sia realmente. Questa, secondo Einstein è la “conoscenza incompleta” che ci può dare la meccanica quantistica. Comunque, dice Einstein, la carta in questione è DI FATTO una delle due carte (variabile nascosta), indipendentemente dal fatto che noi non abbiamo la certezza che sia l’una o l’altra (indeterminazione). All’atto della misura noi possiamo finalmente constatare di quale carta si tratta, ma secondo Einstein la carta era quella già prima della misura.
Secondo la meccanica quantistica invece non è così! La carta in precedenza era in uno stato indefinito: “50% asso di denari e 50% re di cuori”, e solo all’atto della misura la carta è “diventata” – per esempio – un asso di denari. Ma ritornando allo stato precedente e rieffettuando la misura, stavolta la carta potrebbe diventare un re di cuori! Secondo Einstein questi “giochi di prestigio” quantistici erano del tutto inaccettabili e negli anni ’30 egli iniziò a formulare vari paradossi fisici, che però Bohr risolveva ogni volta, salvando così la validità della meccanica quantistica.
Rimase insoluto solo un paradosso, il cosiddetto paradosso E.P.R., così chiamato perché Einstein lo sviluppò insieme ad altri due fisici, Podolski e Rosen. Esso non sarà qui descritto poiché è molto difficile da comprendere per un profano, ma in sostanza il suo significato è questo: se la meccanica quantistica è vera, allora in certi esperimenti specifici essa implica necessariamente che esistano influenze istantanee (“non-locali”) tra particelle lontane. Ma questa sarebbe una violazione del “principio di località”, ed Einstein sottintendeva che esso non poteva essere violato: perciò la teoria quantistica doveva essere falsa.
Bohr rispose che questa non era una dimostrazione sufficiente, e la controversia rimase sospesa perché non vi era un esperimento cruciale per stabilire chi avesse ragione e chi torto (sebbene la meccanica quantistica continuasse a dimostrarsi validissima e a permettere grandi innovazioni tecnologiche).
Negli anni ’60 il fisico Bell propose un certo esperimento che poteva effettivamente dimostrare chi avesse ragione. In base al teorema di Bell, se un certo esperimento desse un certo risultati, l’obiezione di Einstein verrebbe respinta, e verrebbe confermata la validità della meccanica quantistica con tutti i suoi “giochi di prestigio”.
Negli anni ’70 l’esperimento di Bell fu realizzato da vari ricercatori, che verificarono così la validità della meccanica quantistica con i suoi paradossi e la sua non-oggettività. Alcuni fisici però obiettarono che gli esperimenti non erano stati condotti in maniera rigorosa, adducendo varie critiche. Così furono effettuati esperimenti sempre più sofisticati e precisi, fino all’esperimento condotto da Aspect et al. nel 1982, e che viene considerato decisivo per la validità della meccanica quantistica nella forma non gradita ad Einstein.
Ulteriori esperimenti condotti recentemente hanno poi dimostrato pienamente l’esistenza dei “giochi di prestigio” quantistici.
Un articolo interessante sulle tematiche trattate fino a questo punto si trovano in un articolo su Le Scienze n.235, 1988.
10 – Pregiudizi ancora diffusi tra i fisici.
Questo paragrafo può essere saltato in caso di una lettura veloce.
Alcuni fisici, nonostante il risultato degli esperimenti citati, restano convinti della validità del realismo e della località di Einstein.
Per comprendere quanto sia grande l’influenza di certi pregiudizi, anche tra gli scienziati, si può considerare un sondaggio effettuato nel 1985 (quindi ben tre anni dopo l’esperienza di Aspect) tra un campione di fisici (riportato da A.Masani: La fisica e la realtà, l’Astronomia n.73, 1988).
La “località di Einstein” veniva accettata ancora dal 57% degli intervistati; solo il 30% non l’accettava più; il 13% era indeciso.
Il “realismo” veniva accettato ben dall’86% degli intervistati, non veniva più accettato solo dal 2%, mentre il 12% trovavano ambigua la domanda.
Eppure l’esperimento di Aspect avrebbe dovuto modificare le convinzioni sul “realismo” e la “località” di Einstein.
Viceversa, in seguito a ripetute obiezioni sulla precisione dell’esperienza di Aspect, adesso tale esperimento viene considerato valido solo al 90% e non al 100%: si stima infatti che vi sia un 10% di probabilità che i risultati ottenuti siano dovuti ad imprecisioni sperimentali.
Fatto sta che ulteriori esperimenti, che vedremo poco più avanti, elevano tale percentuale al 100%, e riportano alla ribalta la figura del soggetto cosciente.
11 – Interferenza quantistica.
Adesso iniziamo ad analizzare alcuni esperimenti quantistici davvero sorprendenti. Molti dei seguenti esperimenti sono descritti in un ottimo articolo pubblicato su Le Scienze n.289 del 1992, “La filosofia dei quanti” di J.Horgan.
Seguiamo attentamente.
Consideriamo una sorgente di particelle “classiche” che vengono inviate su un bersaglio, per esempio una mitragliatrice che spara in direzione di un muro distante 20 metri (non deve sparare in una direzione fissa, ma in modo da coprire tutto il muro). Quindi frapponiamo una “maschera” tra la sorgente ed il bersaglio, ovvero uno schermo forato, a circa 3 metri dal bersaglio: la maschera può essere per esempio una lastra di metallo con due fori circolari di 10 cm di diametro, distanti tra di loro un metro.
E’ evidente che sul bersaglio (sul muro) giungeranno solo i proiettili in corrispondenza dei due fori, mentre gli altri verranno fermati dalla maschera. In definitiva, i proiettili che colpiranno il bersaglio formeranno due cerchi di circa 10 cm distanti tra di loro un metro: si tratta della “proiezione” sul bersaglio dei due fori della maschera.
Siamo nell’ambito della fisica classica ed è tutto chiaro e comprensibile.
Ora ripetiamo l’esperimento con delle onde al posto dei proiettili, per esempio delle onde sonore. In tal caso le onde colpiranno il bersaglio non soltanto in corrispondenza dei due fori, ma anche in altre parti del muro; se si potessero visualizzare le parti colpite con maggiore e minore intensità, vedremmo una tipica figura a frange detta “figura di interferenza”, che si estende ben oltre i 10 cm di dimensione dei fori della maschera. Ciò è dovuto ad un fenomeno ondulatorio detto “interferenza”: grazie a tale fenomeno, le onde possono colpire regioni del bersaglio che sarebbero irraggiungibili per i proiettili.
Va aggiunto che se si tappa uno dei due fori, l’interferenza non può più avere luogo, e la distribuzione delle onde sul bersaglio diventerà simile a quella dei proiettili, ovvero si vedrà una regione circolare di 10 cm di diametro (in realtà un po’ di più a causa del fenomeno della “diffrazione”, ma non sottilizziamo).
Anche questo è perfettamente comprensibile in termini di fisica classica.
Benissimo.
Passiamo allora al caso quantistico: consideriamo degli elettroni e ripetiamo un esperimento simile, ovviamente su scale molto più piccole.
La sorgente emette elettroni distinti, cioè particelle e non onde, e quindi ci aspettiamo di avere la stessa situazione che avevamo nel caso dei proiettili: gli elettroni dovrebbero colpire solo due zone circolari in corrispondenza dei fori della maschera. Invece otteniamo una figura di interferenza come nel caso delle onde! Eppure non si tratta di onde, ma di particelle distinte. Proviamo a rallentare il processo ed inviare un singolo elettrone alla volta: ovvero aspettiamo che un elettrone giunga sul bersaglio prima di far partire il successivo.
Esso viene emesso come una particella singola; supera la maschera; e raggiunge il bersaglio come particella singola. Esso però può raggiungere zone del bersaglio irraggiungili ad una particella, come se fosse un’onda! Continuando ad inviare singoli elettroni, uno alla volta, alla fine essi ricostruiscono la figura di interferenza tipica delle onde! Sebbene si tratti di particelle singole, nell’attraversare la maschera ciascuna di esse si comporta come un’onda estesa che produce interferenza! Ma com’è possibile che un singolo elettrone si comporti come un’onda e faccia interferenza con se stesso??! E da quale dei due fori passa il singolo elettrone? Per poter produrre l’interferenza, esso deve passare contemporaneamente dai due fori, il che secondo noi è possibile per un’onda, ma non per una particella. In questo ragionamento chiaramente applichiamo all’elettrone il concetto di “particella classica”, ma esso non è più valido in meccanica quantistica.
In realtà finché l’elettrone non viene rivelato sul bersaglio, esso non esiste in uno stato definito (cioè in un’autostato), ma esiste in uno stato potenziale astratto descritto da una funzione d’onda, e che si propaga appunto come un’onda.
De Broglie e Schrödinger tentarono di descrivere tutto il mondo quantistico in termini di onde, abolendo il concetto di particella, ma ciò non fu possibile: all’atto dell’emissione e della rivelazione l’elettrone è una particella e non un’onda (ovvero la funzione d’onda è collassata in un punto).
A questo punto possiamo immaginare di aggirare questa scomoda situazione andando a vedere che cosa fa realmente l’elettrone nell’attimo in cui attraversa la maschera. Nella nostra convinzione infatti l’elettrone deve oggettivamente passare da uno dei due fori e non dall’altro (realismo di Einstein), e noi vogliamo “coglierlo” in quell’attimo per scoprire il suo segreto: sarebbe come osservare attentamente un prestigiatore e riuscire a scoprire l’attimo in cui effettua il suo trucco.
Ma per cogliere l’elettrone sul fatto, dobbiamo rivelarlo, e possiamo farlo per esempio inviando su di esso una debole luce che potrebbe essere riflessa da esso. Quindi potremmo mettere una debole sorgente luminosa dietro uno dei due fori, e vedere se riusciamo a cogliere l’elettrone.
Questo è sperimentalmente possibile, ma così facendo la figura di interferenza scompare! Infatti: o l’elettrone passa dal nostro foro, quindi viene rivelato dalla nostra luce, e in quell’attimo diventa particella; oppure passa dall’altro foro, ma quando passa da un foro solo – sia esso onda o particella – non può produrre interferenza! La meccanica quantistica non ci permette di avere contemporaneamente la figura di interferenza e la conoscenza del singolo foro da cui l’elettrone è passato! O l’uno o l’altro: o l’elettrone è una particella oggettiva, e quindi non produce interferenza, o è un’onda di probabilità, ma in tal caso non passa da un solo foro, bensì da tutte e due (vedremo più avanti che anche quest’ultima affermazione ha delle limitazioni, e al massimo possiamo dire che “è come se fosse passata da tutte e due”).
12 – La spiegazione puramente “operativa” non è esauriente.
Generalmente i fisici danno una spiegazione “operativa” di quello che succede: per vedere l’elettrone mentre passa da un foro, dobbiamo osservarlo, quindi inevitabilmente dobbiamo perturbare il sistema e la figura di interferenza scompare. I fisici “realisti” quindi non si meravigliano più di tanto: abbiamo perturbato il sistema con una misura “invasiva”, ed esso si è adeguato: che cosa c’è di tanto strano? In realtà questa spiegazione, pur essendo valida e corretta, tende a nascondere alcune implicazioni molto più profonde rivelabili solo con altri esperimenti. Infatti è possibile fare scomparire la figura di interferenza con un’azione molto più “evanescente” di quella considerata finora, ovvero senza una misura invasiva! A tal proposito analizzeremo poco più avanti gli strabilianti esperimenti del gruppo di L.Mandel e di altri gruppi.
Prima però rimaniamo sull’esperimento dei due fori per notare un aspetto incredibile previsto da Wheeler, che smentisce l’apparente “ragionevolezza” che si aveva prima con la spiegazione “operativa” dell’esperimento (basata sull'”invadenza” della misura).
Gli esperimenti in questione possono essere effettuati indifferentemente su elettroni o su “fotoni”; i fotoni sono “quanti di luce”. Infatti a livello quantistico le particelle che noi chiamiamo “materiali” si comportano nello stesso modo in cui si comportano i “campi di forze”, come per esempio i campi elettromagnetici (la luce è appunto un campo elettromagnetico che si propaga come un’onda).
La differenza tra cosiddette “particelle materiali” e “campi di forze” sta solo nel fatto che i primi sono “fermioni” e i secondi “bosoni”: tale differenza però non è determinante negli esperimenti che stiamo analizzando. In definitiva l’esperienza dei due fori si può effettuare anche con dei fotoni (quanti di luce), ed anzi risulta molto più semplice che con gli elettroni (è sufficiente utilizzare un laser).
Ed ora analizziamo l’esperimento proposto da Wheeler.
13 – L’esperimento “a scelta ritardata” di Wheeler.
Immaginiamo un fotone che passa attraverso i due fori, come un’onda, e fa interferenza con se stesso. Come abbiamo visto, per distruggere la figura di interferenza, è sufficiente osservarlo “subito dopo” che è passato da un foro: in tal caso esso non è più un’onda ma una particella e quindi non può passare anche dall’altro foro. E infatti non passa dall’altro foro e l’interferenza scompare.
Quindi noi possiamo “scegliere” se osservare il fotone come particella o se lasciargli fare la figura di interferenza. Benissimo.
Abbiamo detto che riveliamo il fotone “subito dopo” che è transitato dal primo foro. “Subito dopo” significa che è passato pochissimo tempo.
Ma anche se il tempo trascorso è minimo, il fotone comunque ha già oltrepassato il foro; inoltre fino a questo momento esso è rimasto un’onda perché non l’abbiamo ancora rivelato. Perciò nel frattempo l’onda ha già imboccato ANCHE il secondo foro e lo ha oltrepassato. E allora come fa il fotone ad essere rivelato “tutto intero” vicino al primo foro? Che fine fa il fronte d’onda che aveva appena oltrepassato il secondo foro? Scompare nel nulla? Sembra proprio di sì, ma com’è possibile? Per chiarire questo punto, Wheeler propose di fare così: lasciamo che il fotone passi attraverso la maschera, come un’onda, passando da entrambi i fori. Poi, DOPO che il fronte d’onda ha superato la maschera, inseriamo un rivelatore non lontano dal primo foro, ma neanche tanto vicino (cioè quanto basta per essere sicuri che nel frattempo l’onda sia già sicuramente transitata dalla maschera). In pratica vogliamo effettuare la SCELTA di osservare il fotone come particella, però DOPO che esso è transitato da entrambi i fori come un’onda. Infatti l’esperimento è chiamato “a scelta ritardata”.
L’esperimento è stato realmente effettuato da alcuni scienziati dell’ università del Maryland.
Ebbene, inserendo il rivelatore DOPO che l’onda era transitata dalla maschera, esso individuava il fotone come particella e NON si creava la figura di interferenza. Ma allora che fine faceva la parte dell’onda già transitata dal secondo foro??! Scompariva nel nulla, poiché il fotone veniva rivelato interamente vicino al primo foro! Eppure, diciamo noi, l’onda transitava sicuramente anche dal secondo foro: infatti, se NON si inseriva il rivelatore (lasciando inalterato tutto il resto), si formava la figura di interferenza (che può formarsi solo se l’onda transita da ENTRAMBI i fori). E allora com’è possibile??! La realtà è che anche stavolta cerchiamo di fornire un’immagine oggettiva di ciò che accade: ma un’immagine oggettiva non è adeguata.
Non ha senso dire che “l’onda è già passata”, perché solo all’atto della misura possiamo dire che qualcosa è avvenuto: prima della misura il fotone rimane in uno stato indefinito di potenzialità, o se si vuole di irrealtà.
Quando poi inseriamo il rivelatore, allora possiamo dire con certezza che il fotone era passato solo dal primo foro e NON dal secondo foro, e infatti non c’è interferenza. Quando invece non inseriamo il rivelatore, e riveliamo dei fotoni sul bersaglio (con figura di interferenza), allora possiamo dire che ciascun fotone ha fatto interferenza come se fosse un’onda transitata da entrambi i fori; ma questo lo possiamo dire solo DOPO che il fotone viene rivelato sul bersaglio (in un punto raggiungibile solo da un’onda ma non da una particella), cioè DOPO la misura.
La cosa che a noi appare incredibile è che ciò che il fotone decide di fare sulla maschera (passare da un foro solo o entrambi) dipende da una scelta SUCCESSIVA al transito stesso! Come dice Wheeler, la “scelta” di far passare il fotone da un solo foro o da entrambi è “ritardata”, cioà avviene DOPO che il fotone è passato! Affinché la cosa non risulti incredibile, dobbiamo ammettere che ciò che è successo PRIMA non è definito. Occorre specificare che l’esperimento condotto nell’Università del Maryland non è stato impiegato uno schermo con due fori ma un’apparecchiatura concettualmente equivalente: un fascio laser è stato diviso in due fasci separati, uno dei quali attraversava un rivelatore (che poteva essere “acceso” o “spento”), ed infine i due fasci venivano fatti convergere nel rivelatore finale, dove si poteva verificare l’eventuale interferenza.
14 – Un incredibile paradosso astronomico.
Come sottolinea Wheeler, l’esperimento sopra analizzato fornisce un risultato assurdo se continuiamo a considerare “oggettivo” l’universo. Per rendere ancora più strabiliante questa assurdità, Wheeler fa notare che l’esperimento in questione, se considerato su scala astronomica, produce risultati incredibili. Ecco un esempio.
Oggi gli astronomi conoscono alcuni oggetti astronomici lontanissimi, chiamati “quasar”. Per giungere fino a noi, la luce di un quasar impiega miliardi di anni.
Se nel percorso incontra una galassia di grande massa, che in base alla relatività generale di Einstein può funzionare da “lente gravitazionale”, il fascio di luce si divide in due fasci che aggirano la galassia da due parti opposte (infatti noi dalla Terra otteniamo delle immagini sdoppiate di alcuni quasar).
Premesso questo, se noi sulla Terra vogliamo osservare il quasar possiamo scegliere di far produrre interferenza ai due fasci, oppure di rivelare i singoli fotoni di ciascun fascio. Il concetto è identico a quello dell’esperimento precedente.
Proviamo a chiederci, in una concezione oggettiva dell’universo, se vari miliardi di anni fa il singolo fotone è passato da entrambi i lati rispetto alla lontana galassia (come un’onda) oppure da un lato solo (come una particella).
La risposta è la seguente: dipende da come decidiamo di osservarlo noi OGGI! Se oggi noi scegliamo di rivelare la figura di interferenza, allora vari miliardi di anni fa il fotone ha deciso di percorrere entrambi i cammini.
Viceversa, se noi scegliamo di vedere il singolo fotone su un singolo cammino, allora vari miliardi di anni fa il fotone ha scelto di comportarsi come una particella! Nel momento in cui noi cambiamo idea e lo osserviamo in un modo invece che nell’altro, il fotone che sta arrivando è già preparato alla nostra scelta! In pratica, come dice l’articolo di J.Horgan (Le Scienze n.289), “i fotoni devono aver avuto una sorta di premonizione, per sapere come comportarsi in modo da soddisfare una scelta che sarebbe stata fatta da esseri non ancora nati su un pianeta ancora inesistente”.
La verità che risolve il paradosso è che l’universo non si trova in uno stato pienamente oggettivo, ma le sue caratteristiche sono in parte determinate (fisicamente!) dall’osservatore cosciente.
15 – La “conoscenza” di un sistema ne altera lo stato fisico!
Avevamo detto che generalmente viene data un’interpretazione “operativa” dell’esperimento con i due fori: poiché la misurazione è necessariamente “invasiva”, è inevitabile che il sistema fisico alteri il suo stato.
In realtà alcuni straordinari esperimenti hanno dimostrato che è sufficiente qualcosa di molto più evanescente di una misurazione per far cambiare lo stato fisico di un sistema: è sufficiente la conoscenza potenziale che possiamo avere di tale sistema! Horgan parla a tal proposito di “fotoni psichici”, mentre Jaynes e Scully parlano scherzosamente di “negromanzia medievale”.
J.Rarity e P.Tapster del Royal Signals and Radar Establishment hanno recentemente condotto un’esperienza concettualmente simile al paradosso EPR. Un fascio laser viene diviso in due fasci: per esempio possiamo mandare un fascio a destra ed uno a sinistra (ed allontanarli quanto vogliamo). Ciascuno dei due fasci attraversa un dispositivo simile a quello dei due fori: quindi in totale abbiamo quattro percorsi possibili, due per il fotone di destra e due per il fotone di sinistra.
Ebbene, i due fisici hanno dimostrato che una misura su uno dei due fasci altera lo stato dell’altro! Avviene cioè proprio ciò che Einstein aveva definito impossibile e aveva deriso quando aveva proposto l’esperimento EPR.
Procediamo per gradi: se noi NON verifichiamo da quale foro passa ciascun fotone, si crea la figura di interferenza (come se passasse da entrambi).
Ma se noi verifichiamo da quale foro passa il fotone di destra, determiniamo anche il foro da cui passa il fotone di sinistra, anche se non si effettua la misura su di esso e si attende la rivelazione sul bersaglio finale.
Un esperimento simile, ma più conosciuto, è stato compiuto da L.Mandel dell’Università di Rochester e dai suoi collaboratori.
Un fascio laser viene diviso in due fasci, che chiameremo 1 e 2. Ciascuno dei due a sua volta viene diviso in due fasci, che chiameremo S (segnale) ed A (ausiliario). Abbiamo così quattro fasci: 1S, 1A, 2S, 2A. A questo punto facciamo convergere su un rivelatore i due fasci ausiliari (1A e 2A), e su un altro rivelatore i due fasci segnale. Questi ultimi creano la solita figura di interferenza. Benissimo.
Notiamo che, una volta che i fasci sono stati divisi, essi dovrebbero essere indipendenti.
Invece, se si interrompe il percorso di uno dei due fasci ausiliari (per esempio possiamo interrompere il fascio 1A frapponendo un ostacolo sul suo percorso), istantaneamente la figura di interferenza dei fasci segnale scompare! Eppure non abbiamo effettuato misure sui fasci segnale, ma solo sui fasci ausiliari! Sebbene i due tipi di fascio (A e S) possano essere anche lontanissimi tra di loro, quando operiamo sui fasci A produciamo un’influenza sui fasci S, che contraddice la località di Einstein.
Che cos’è cambiato? E’ cambiata la “conoscenza potenziale” che abbiamo sui fasci segnale: poiché il percorso 1A è chiuso, quando riveliamo un fotone sul rivelatore degli ausiliari, esso proviene necessariamente dal fascio 2, e misurando la sua coincidenze col fotone segnale potremmo dedurre che esso quest’ultimo ha percorso il cammino 2S: questa “conoscenza potenziale” è sufficiente ad alterare lo stato fisico sul rivelatore dei segnali, distruggendo la figura di interferenza.
Il gruppo di R.Chiao, dell’Università di Berkeley, ha condotto esperimenti ancora più profondi, i quali dimostrano che il “collasso della funzione d’onda” è reversibile (mentre Bohr e gli altri fisici di Copenaghen pensavano che fosse irreversibile, tant’è vero che su questo fatto – oggi inaccettabile – basarono la loro interpretazione, in modo da aggirare la scomoda figura dell’osservatore cosciente).
Il fenomeno in questione è stato chiamato “cancellazione quantistica” (ciò che si può cancellare è la “conoscenza potenziale” che aveva distrutto la figura di interferenza, come nell’esperimento di Mandel: ponendo davanti ai rivelatori finali dei dispositivi che eliminano tale conoscenza, si ripristina la funzione d’onda precedente con la figura di interferenza).
Sfruttando questi giochi di prestigio quantistici, i fisici P.Kwiat, H.Weinfurter e A.Zeilinger hanno dimostrato che sono possibili delle “misure senza interazione”, ovvero ci si può accorgere della presenza di un oggetto macroscopico (cioè “classico” e non quantistico) utilizzando le caratteristiche quantistiche dei fotoni e la loro non-oggettività. Notiamo che nel caso di un oggetto macroscopico la sua esistenza “oggettiva” è probabilisticamente elevatissima, cioè praticamente certa; ma l’esperimento sfrutta le qualità di non-oggettività del fotone rivelatore, che così rivela l’oggetto senza interagire con esso! Misure senza interazione potrebbero avere applicazioni importantissime per esempio in campo medico, per ridurre fortemente l’intensità delle radiazioni nell’osservazione specialistica di tessuti organici.
Un articolo su questo tema è stato pubblicato su Le Scienze n.342 del 1997.
Vi sono già altre applicazioni di questi “giochi di prestigio” quantistici (la cui esistenza era sgradita ad Einstein). Per esempio il teorema di Bell permette l’esistenza di una “crittografia quantistica” assolutamente sicura, poiché decifrabile solo da chi possiede la chiave originale.
Conclusione.
Tutti questi paradossi quantistici evidenziano che la “consapevolezza” gioca un ruolo fondamentale ai livelli fondamentali della realtà.
Horgan sostiene che questi esperimenti si accordano con la concezione di George Berkeley, filosofo del secolo XVIII, secondo il quale “esse est percipi” (esistere significa essere percepito): si tratta di una concezione immateriale dell’universo, che in filosofia viene detta “empirismo idealistico”.
Ed infatti il nuovo messaggio lanciato dalla meccanica quantistica rappresenta la fine del “realismo” oggettivo e materialistico a favore di una concezione “idealistica”, in cui gli oggetti esistono in uno stato “astratto” e “ideale” che rimane teorico finché la percezione di un soggetto conoscente non lo rende reale.
Ovviamente non si tratta di un idealismo totalmente soggettivo, come nella filosofia di Fichte, ma di un idealismo in cui l’oggettivo è subordinato al soggettivo, o comunque “intrecciato” con esso, come nella filosofia di Schelling o nella filosofia indiana: pertanto non è strettamente necessario un “soggetto umano” che abbia tale percezione (come vorrebbe Fichte!), poiché in generale la “percezione” sarebbe una proprietà latente nelle leggi fisiche fondamentali: quella stessa proprietà che, valorizzata ed amplificata dagli organismi biologici, crea in essi la “consapevolezza” e la “mente”. Cioè, come diciamo in un altro articolo, barlumi di “consapevolezza”, ad uno stadio primordiale di “percezione”, sarebbe presente nel “campo unificato” studiato dalla fisica teorica contemporanea Concezioni alternative a quelle basate su un universo fondamentalmente “mentale” risultano assurde, anche se ne sono state proposte diverse.
Per esempio secondo la proposta di Everett esistono infiniti universi, e ogni qual volta viene effettuata una “scelta” quantistica, l’universo si divide in due, uno che prosegue la sua storia con una delle due scelte, e l’altro che prosegue la sua storia con l’altra scelta! Proposte del genere sinceramente sembrano molto più folli e pazzesche dell’accettare un principio mentale alla base della realtà fisica.
Domande e obiezioni frequenti
(FAQ – Frequently asked questions)
N.B. Questa pagina è stata compilata su effettive domande che ci sono state rivolte.
– Il tono della pagina principale e di altre pagine del sito non mi sembra adeguato ad una presentazione scientifica.
Infatti questa nostra esposizione ha carattere divulgativo. Comunque negli articoli si trovano numerosi riferimenti precisi e collegamenti a siti (Università ed altri Istituti di Ricerca) nei quali si può verificare la scientificità degli argomenti presentati.
– Sapete dirmi il titolo di quel romanzo di fantascienza dove due fisici quantistici scoprono il modo per modificare la volontà altrui e allora succede che…
No, non abbiamo informazioni di questo genere.
– Sapete dirmi qualcosa sulle “Brian Machines”?
No. D’altronde crediamo che il cervello umano abbia capacità naturali per creare stati di coerenza cerebrale insospettabili (si raccomanda un’attenta lettura degli articoli).
– Vorrei capire perché identificate il “libero arbitrio” e la “volontà umana” con l’indeterminazione quantistica: che scientificità può avere tale identificazione?
La questione può essere risolta solo con un’interpretazione filosofica basata sul buonsenso. Fino a qualche decennio fa la scienza credeva ciecamente al determinismo assoluto: in tal caso le leggi fisiche sarebbero così rigide da non permettere l’esistenza di una volontà e di un libero arbitrio, che perciò sarebbero nostre pure illusioni: anche noi saremmo “burattini” totalmente in balia delle leggi fisiche.
L’indeterminazione quantistica, scoperta negli anni ’20, evidenziò però l’esistenza di una “indeterminazione” di principio nei fenomeni quantistici. Essa però fu attribuita al “caso cieco”. In questo caso saremmo burattini in balia non del determinismo, ma del caso cieco…
In realtà la nostra teoria identifica il libero arbitrio con un principio primo non riconducibile ad altro (determinismo o caso). Essa produrrebbe “deviazioni” dal rigido determinismo e sarebbe rivelabile appunto con l’indeterminazione quantistica.
A tal proposito si consiglia vivamente la lettura del lungo articolo “La fisica quantistica sembra suggerire…” In esso si comprende meglio perché l’indeterminazione quantistica può essere ciò che permette il libero arbitrio. Si tratta di un’idea che già negli anni ’20 era stata proposta da fisici come Eddington e Jordan.
Eddington cercò di vedere se le grandezze fisiche tipiche di un neurone rientrassero nei limiti dell’indeterminazione, ma si vide che il neurone è troppo grande per poter soddisfare ciò. Oggi si pensa che possano essere le sinapsi neuronali i luoghi in cui la volontà possa agire, tramite l’indeterminazione quantistica, sul mondo che noi consideriamo “oggettivo”.
– Non comprendo bene i collegamenti tra la teoria evoluzionistica della mente e la vostra teoria sulla coscienza.
Forse non si può capire dai pochi articoli del sito, ma per noi la coscienza, anzi, la pura coscienza primordiale e indifferenziata, è una proprietà del campo unificato indagato dalla fisica contemporaneamente e quindi esiste “a priori” rispetto all’evoluzione biologica; la quale non farebbe altro che rivelarla ed amplificarla.
E’ un concetto filosoficamente rivoluzionario e da molti considerato pazzesco, ma a noi sembra inevitabile per avere una spiegazione sensata dell’universo.
– Nella vostra teoria la parte riguardante la fisica sembra ad uno stadio avanzato, e così la parte di natura sociologica, ma non vedo molto sviluppata la parte “intermedia” (per così dire), cioè la parte biologica.
La nostra teoria è come un mosaico in cui mancano alcuni tasselli, specialmente nella parte biologica (mentre le parti riguardanti la fisica e gli effetti sociologici sono già piuttosto sviluppate). Comunque alcuni studi a sostegno della teoria sono già stati condotti dal Dr. R.K.Wallace e da altri biologi e neuroscienziati e sono stati pubblicati su varie riviste specialistiche, per cui la visione d’insieme del mosaico appare già chiara.
Occorre sottolineare che la biologia non verrebbe modificata sensibilmente dalla nostra teoria: al contrario, essa acquisterebbe dei fondamenti più profondi. Infatti nei modelli correnti non è affatto chiaro come possano nascere la vita e la consapevolezza (con le loro misteriose tendenze anti-entropiche) dalla materia inerte: i modelli complessi finora proposti sono ben lontani dall’aver risolto la questione.
Invece nella nostra concezione la consapevolezza e l’intelligenza sarebbero proprietà elementari (latenti nei campi fisici fondamentali) capaci di trovare piena espressione negli organismi viventi (mentre nella “materia inerte” la maggior parte delle proprietà quantistiche verrebbero perdute o “congelate” e rimarrebbe solo una struttura meccanicamente stabile, cioè appunto ciò che noi chiamiamo “materia”).
Poiché l’ipotesi è piuttosto audace e distante dalle convinzioni comuni, è consigliabile rileggere gli articoli presentati sul sito per verificare che essa non è fantastica ma è suggerita dalle attuali conoscenze della fisica.
– Riesco a comprendere la vostra teoria sull’universo, e separatamente comprendo anche l’utilità della MT. Però non vedo la relazione tra le due cose!
E’ normale per chi non conosce ancora bene la nostra teoria. Forse è utile rileggere gli articoli, specialmente i primi tre (generale, scientifico, filosofico).
Diamo qui solo alcune indicazioni di natura intuitiva.
Occorre prima comprendere la concezione di fondo (ispirata alla concezione orientale), secondo cui l’universo non è materiale ma è, per così dire, un’immensa proiezione mentale… si tratta una concezione che parte da un principio soggettivo e non oggettivo, ed è molto strana da comprendere per noi occidentali.
Comunque, se l’universo è in sostanza una “grande mente”, e se con la MT possiamo accedere (per alcuni attimi) al presunto campo fondamentale della realtà da cui nasce tutto l’universo, fonte di ogni ordine ed energia, di riflesso ciò può apportare dei benefici di natura psico-fisiologica: in pratica le onde cerebrali si ordinano, cosicché ne risentono il sistema nervoso e tutto l’organismo.
– Lo scopo del sito sembra la vendita del libro omonimo, per un vostro vantaggio economico.
Senza addentrarci in inutili polemiche, lasciamo giudicare all’intelligenza del lettore se le cose stanno veramente così: a noi sembra offensivo e riduttivo identificare il sito con il libro, che viene presentato solo in poche pagine marginali (d’altronde il libro esiste… e purtroppo è inevitabile che venga citato e brevemente descritto).
Ma oltre che fuori luogo, l’obiezione sembra anche ingenua e superficiale: i libri, a parte casi eccezionali, non hanno mai costituito un grande business, e comunque la maggior parte dei guadagni va a librerie, distributori ed Editore (all’Autore va solo 7% circa).
– Le recensioni del libro “Ipotesi sulla Realtà” (che sono riportate nella pagina che lo riguarda) sono o non concernenti il merito della materia o provenienti da riviste la cui “scientificità” è perlomeno dubbia. Quindi tali recensioni non sono d’aiuto.
Già, ma è già stato sottolineato che il testo recensito è divulgativo.
Negli articoli e nei siti di riferimento si troverà un numero enorme di riferimenti scientifici “seri” (cioè a riviste accademiche).
– E’ immediato fare un’analogia tra di voi ed altre organizzazioni la cui ascientificità e la cui cattiva fede sono state ampiamente dimostrate (Dianetics/Scientology di fronte a tutte).
Non vogliamo dare giudizi su altre organizzazioni. Facciamo solo notare che nessuna può fornire la mole di conferme scientifiche ottenuta dall’organizzazione di Maharishi.
Ciononostante, alcune persone vogliono continuare a presentare tale organizzazione come una “setta”: a causa di queste incredibili disinformazioni, le straordinarie conoscenze in questione stentano a diffondersi tra la comunità scientifica.
Stranamente si preferisce parlare di “setta” invece di considerare la colossale quantità di conferme scientifiche ottenute, anche in collaborazione con celebri scienziati e premi Nobel. Allo scopo si leggano bene gli articoli di presentazione generale, scientifica e medica, e si visitino i siti a cui si fa riferimento.
– Rimango perplesso a riguardo dell’Effetto Maharishi. Leggo: “In seguito molte ricerche hanno confermato che nelle comunità (città, regioni, Stati) in cui almeno l’1% della popolazione pratica la MT, si ottiene un netto miglioramento dei principali indici sociologici: ad esempio minor numero di episodi criminali, di incidenti, di malattie, e molte altre conseguenze positive. Si tratta di effetti statistici molto significativi, non imputabili alle normali fluttuazioni casuali: l’Effetto Maharishi risulta addirittura uno degli effetti sociologici più confermati e verificati”.
Poche righe sopra però affermate che l’effetto Maharishi non ha influenza sulla volontà… e poi dite che provoca cambiamenti macroscopici del comportamento di una popolazione: è una contraddizione!
Non è una contraddizione: l’Effetto Maharishi non provoca influenze sulla volontà, ma rende l’ambiente “psichico” più favorevole. E’ una cosa molto lunga da spiegare, che peraltro si scontra con parecchi pregiudizi comuni.
Proviamo a proporre un paio di esempi banali, puntando sull’intuizione del lettore. Se viaggio in automobile non è certa mia intenzione litigare con qualcuno o fare incidenti: la mia intenzione è solo quella di raggiungere un determinato luogo. Ma se trovo per la strada gente stressata, pirati, incoscienti, ecc., che mi provocano, posso fare qualcosa che non mi aspettavo di dover fare (arrabbiarmi, litigare, fare incidenti, ecc.).
Quindi semmai la mia volontà viene alterata dalla presenza di stress, non dalla sua assenza! L’Effetto Maharishi rende più possibile l’attuarsi della volontà rendendo meno determinanti gli ostacoli dovuti a stress, tensioni collettive, ecc.
Se io voglio comprare un’automobile, ma sono stressato e non vedo il modo per comprarla, potrei rubarla. Se invece sono tranquillo, sereno, realizzato, posso fare progetti per acquistarla legalmente. Comunque il mio desiderio originario resta inalterato: l’acquisto di un’automobile.
L’Effetto Maharishi è come una ventata di aria pura che spazza via lo smog “psichico”. A quel punto molte cose cambiano, ma non le intenzioni intime delle persone, che anzi, vengono facilitate! Attenzione, questi sono esempi banali, ma in sociologia è noto che piccole effetti sull’umore o sullo stress collettivo possono dare enormi variazioni sugli indici sociologici.
– A riguardo dell’Effetto Maharishi, leggo: “Si ebbe anche un forte rialzo simultaneo di tutti i mercati azionari (evento insolito), a testimonianza della vitalità diffusa dall’effetto”. Ma un effetto di traino economico fra mercati azionari non è insolito. Questa affermazione è al di fuori di ogni scientificità.
Sociologi e statistici invece sono altrettanto sicuri nella convinzione opposta: secondo loro sono risultati eccezionali, del tutto anomali statisticamente.
– La coincidenza fra il tentativo di produrre l’Effetto Maharishi e gli eventi insoliti tutt’al più costituisce una curiosità statistica ma non significa scientificamente nulla.
Significa moltissimo, invece! Nei moderni esperimenti scientifici si opera proprio così: perfino nelle scienze “esatte” le cosiddette “scoperte” scientifiche si basano su statistiche schiaccianti (per esempio la scoperta dei bosoni della Forza debole da parte del prof. Rubbia).
Se d’estate la criminalità statisticamente aumenta del 7%, come avviene in molti luoghi, e si ha una deviazione standard del 2% in più o in meno (quindi un range tra 5% e 9%), sarebbe già eccezionale se rivelassimo un aumento della criminalità di solo il 3%. In realtà, quando viene prodotto un Effetto Maharishi (e generalmente si preavvisa la stampa ed anche alcune Università ed Istituti di ricerca), la criminalità può calare anche del 20% rispetto alla media stagionale! Vi sono centinaia di risultati di questo tipo: incredibile per esempio fu la relazione tra numero di morti e feriti nella guerra del Libano (anni ’80) con il numero di partecipanti ad un’assemblea permanente per creare l’Eff. Maharishi. Se 10 persone mancavano nel gruppo di meditazione, si avevano tot morti di più al giorno. Se al gruppo si aggregavano 20 persone, si avevano 2*tot morti di meno. Risultati assolutamente straordinari, che denunciano quanto siano ciechi i responsabili della sicurezza mondiale (governi, capi di stato, ecc.) a non prendere in considerazione l’Eff. Maharishi! Si vedano i link ai siti interessati, con i risultati di alcuni esperimenti effettuati negli ultimi 20 anni (per esempio Washington 1993, che attirò momentaneamente l’attenzione del vice-presidente USA Al Gore e di 4 Università degli USA, le quali verificarono l’eccezionalità dei risultati).
– Leggo negli articoli: “Sulla base di questi straordinari risultati appare opportuno stabilire al più presto in ogni Nazione un ‘gruppo di coerenza’ che permetta rapidi progressi nella soluzione dei vari problemi sociali, politici ed economici”. Perchè un gruppo per ogni Nazione? Non è più corretto, dal punto di vista fisico, correlare la disposizione dei gruppi con la densità della popolazione?
No: una Nazione costituisce un’unità culturale ed istituzionale (anche se attualmente questo non ha un significato “scientifico” riconosciuto) ed è bene creare effetti di coerenza al suo interno invece di disperderli dividendoli tra due o più nazioni. Per esempio un Effetto Maharishi prodotto in Italia potrebbe essere sufficiente a portare il governo a compiere determinate azioni utili o il parlamento a fare determinate leggi.
Se invece si pone un gruppo analogo al confine tra Italia e Francia, l’Effetto Maharishi in ciascuna delle due nazioni potrebbe non essere sufficiente a indurre eventi importanti.
– La tecnica di MT ha a che fare con l’ipnosi?
No. A differenza dell’ipnosi, la MT aumenta il livello di consapevolezza invece di abbassarlo. Inoltre non è una tecnica “artificiale” ma si basa su tendenze naturali e spontanee della mente.
– Alcuni risultati ottenuti dalla MT non possono essere ottenuti anche con altre tecniche, come il training autogeno, il biofeedback o altre tecniche di origine orientali?
Alcuni risultati sì (per esempio il training autogeno aumenta l’intensità delle onde alfa, indice di rilassamento). Ma certamente non tutti i risultati ottenuti simultaneamente dalla MT, che secondo noi permette di sintonizzarsi con i livelli più profondi della mente (e, secondo la nostra teoria generale, dell’intero universo).
– Imparare la tecnica di MT ha un prezzo?
Ovviamente sì. Secondo noi il costo è piuttosto elevato, ma non possiamo fare nulla per modificarlo poiché non apparteniamo all’organizzazione di Maharishi. Tale organizzazione fa notare che il costo della MT non è superiore a quello di tecniche la cui validità non è mai stata verificata scientificamente.
A tale proposito vorremmo sottolineare il fallimento della psicanalisi, ormai riconosciuto quasi da tutti. Vi è un detto che dice: il nevrotico costruisce castelli in aria, lo psicotico va ad abitarvi dentro, e lo psicanalista ne riscuote l’affitto! Ovviamente un affitto adeguato ad un castello…
Notiamo comunque che la MT è una tecnica adatta a tutti, poiché permette di sviluppare il potenziale insito in qualsiasi persona. Per maggiori informazioni sulla MT si può inviare un e-mail all’Associazione Samhita.
– Leggo negli articoli: “Qualcuno potrebbe dubitare del fatto che la coerenza cerebrale osservata sia veramente prodotta dal campo unificato e potrebbe supporre che essa sia causata invece da ‘banali’ fenomeni psico-fisiologici, secondari rispetto alla fisica fondamentale”.
Infatti il fatto che vi siano analogie con dei fenomeni quantistici non prova né indica nulla… potrebbero veramente essere ‘banali’ fenomeni psico-fisiologici che accidentalmente simulano un modello quantistico…
Le analogie non provano nulla in senso stretto, ma indirizzano chiaramente nella nostra direzione. Ricordiamo anche che ormai è inevitabile considerare scientificamente l’attività mentale come un fenomeno quantistico. Se poi si considerano mille altri aspetti, sembra inevitabile arrivare a ciò che affermiamo. Per esempio il fatto che il processo del pensiero sia inevitabilmente un processo quantistico, ecc. ecc. Comunque l’esistenza dell’Effetto Maharishi non è spiegabile in alcun altro modo.
Comunque consigliamo di rileggere bene le parti in questione.
– Avete mandato, per conoscenza, la vostra documentazione al CICAP, il centro per il controllo delle affermazioni sul paranormale? La loro consulenza e quella dei loro collaboratori a livello internazionale potrebbe aiutarvi, specie per quanto riguarda le correlazioni statistiche fra i fenomeni sociologici e i vostri esperimenti.
La domanda non è affatto pertinente, poiché il CICAP non ha alcuna autorità scientifica! Affinché un esperimento abbia validità scientifica non occorre chiedere il permesso del CICAP… La comunità scientifica internazionale non lo conosce nemmeno poiché è un Comitato italiano. Molti scienziati seri appartengono al CICAP, ma in genere i suoi membri mantengono un atteggiamento di grande pregiudizio verso ciò che non piace loro. Purtroppo dobbiamo notare che spesso il CICAP si comporta in maniera anti-scientifica, come quei Cardinali che si rifiutavano di guardare i 4 satelliti di Giove visibili nel cannocchiale di Galileo.
– Leggo negli articoli: “Le onde cerebrali sarebbero pertanto un raro esempio di effetto quantistico che si manifesta alle scale dei fenomeni ordinari invece che a livello sub-atomico. Esse costituirebbero il residuo macroscopico di una funzione d’onda, ovvero una autentica macro-funzione d’onda”. Ma le onde registrate dall’EEG non sono perturbazioni elettriche registrate dagli elettrodi applicati sulla testa del paziente?
Certo: ma tali onde come nascono? Da dove vengono? Evidentemente da una causa più profonda, che noi crediamo di aver identificato. Secondo noi le deboli onde cerebrali, di natura elettromagnetica, in realtà sono un aspetto superficiale di un qualcosa di molto più profondo che avviene a livello quantistico.
– Se state parlando invece del campo “consapevolezza”, invece, come avete misurato queste onde? Con che strumenti?
Si misurano solo le onde cerebrali, che appunto riteniamo (per una serie di fondati motivi) aspetti superficiali dello stato quantistico, e si notano le corrispondenze con gli stati di coscienza, soggettivi.
– Leggo: “In realtà anche la propagazione della luce è un fenomeno quantistico, descritto da una funzione d’onda di natura elettromagnetica (non a caso per l’esperienza comune la luce risulta un esempio evidente di energia “intangibile”, benché certamente fisica e reale)”. Ma la propagazione della luce non e’ descritta dalle equazioni di Maxwell, che sono completamente deterministiche?
Certo, alcuni effetti quantistici ci possono essere, ma derivano dall’interazione con enti quantistici (per es., l’effetto fotoelettrico deriva dall’interazione con un materiale). La propagazione in sé è un fenomeno deterministico…
Certo: se è per questo anche l’equazione di Schrodinger, che è alla base della meccanica quantistica, è perfettamente deterministica! Ma all’atto della misura inevitabilmente si ha un’indeterminazione. La propagazione effettivamente è deterministica, ma solo la propagazione, cioè l’evoluzione dello stato quantistico; ma non il collasso dello stato in un autostato. E’ qui che il fenomeno quantistico cessa di essere deterministico e provoca l’indeterminazione (che esiste per principio come caratteristica intrinseca nel comportamento della natura e non dipende da eventuali nostre limitazioni nella capacità di misurazione).
Attenzione: si consiglia l’attenta lettura del lungo articolo: “La fisica quantistica sembra suggerire…”
– “Frequently asked questions” non significa esattamente “Domande e obiezioni frequenti”! La traduzione è errata.
Lo sappiamo… ma questo titolo ci sembrava più indicato.
Note sull’autore
Fabrizio Coppola è nato nel 1963 e si è laureato in Fisica all’inizio del 1988 presso l’Università di Pisa.
Ha collaborato con eminenti fisici teorici alla progettazione di un supercomputer finalizzato a calcoli di fisica teorica.
Da anni si interessa delle connessioni tra fisica moderna e filosofia orientale.
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