Il Mutus Liber, Libro senza parole o Libro Muto è riconosciuto come un classico della tradizione alchemica del diciassettesimo secolo. Si compone di 15 tavole prive di commento scritto, che rappresentano vividamente il processo alchemico, nel suo svolgimento. Ad un primo messaggio immediatamente percepibile, le fasi della Grande Opera appunto, si sovrappone un articolato simbolismo che, come tutta l’Arte alchemica, richiede intuizione, riflessione e ricerca profonda. Nessuna parola potrebbe mai spiegare l’illuminazione che si sviluppa dalla fusione di uomo e natura. Ad un secondo livello di lettura, così, il Mutus Liber si configura come una sintesi di alchimia spirituale, animistica e fisica, che si svolge su una molteplicità di livelli interpretativi. Mentre l’intero segreto del processo fisico non viene mai interamente rivelato, sono comunque offerte preziose informazioni per porre insieme i dettagli del modus operandi; grandi alchimisti francesi come Canseliet e Barbault trassero grande ispirazione ed indizi per il compimento dell’opera dalla sua lettura.
Eugène Canseliet infatti scrive: “Nessun libro di simbolismo ermetico può essere comparato al Mutus Liber per interesse e rarità, … in esso tutta la Filosofia ermetica è rappresentata in figure geroglifiche, che è consacrato al Dio misericordioso, tre volte buonissimo e grandissimo, e dedicato ai soli figli dell’arte dall’autore il cui nome è Altus “.
Pubblicato a La Rochelle nel 1677 da un autore celatosi sotto lo pseudonimo di “Altus”, il Mutus Liber è ormai introvabile nella sua edizione originale e completa, di cui esiste un esemplare nella Biblioteca Municipale di La Rochelle. Fu da essa che Canseliet (1899-1983), autore e commentatore di molte opere (fra cui ricordiamo Il Mistero delle Cattedrali e Le Dimore filosofali di Fulcanelli, Alchimia, L’Alchimia spiegata sui testi classici, Deux Logis alchimiques, Ixs Douze Clefs de la Philosophie, Trois anciens Traités d’alchimie), realizzò per la prima volta una riproduzione delle splendide tavole, insieme al loro commento. Oltre ad essa, furono eseguite altre ristampe delle tavole di Altus; tra esse la più nota è quella di Jean-Jacques Manget (1702), le cui incisioni, però, in alcuni punti differiscono dalle originali.
Quel che segue non pretende di essere un commento esplicativo, ma solo di offrire qualche spunto che si spera, possa dare animo ad una riflessione sui messaggi che Altus ha inteso celare dietro le 15 raffigurazioni.
Mentre le pagine seguenti del Mutus Liber intendono dare una descrizione delle fasi del processo alchemico, nella prima tavola si vuole annunciare il livello spirituale su cui ci si muove nell’affrontare le discipline alchemiche.
Il disegno rappresenta il sogno biblico di Giacobbe, con gli angeli che scendono dal cielo sulla terra, e salgono dalla terra verso il cielo usando una scala a pioli. In terra vediamo un uomo addormentato che rappresenta l’umanità intera, o quantomeno coloro che sceglieranno di essere risvegliati dal sonno dell’incoscienza, grazie allo squillare delle trombe divine. Le figure angeliche possono essere considerate come collegamento tra mondo terreno e mondo celeste, tra l’uomo e la sfera cosmica.
L’immagine reca con sé anche una scritta :
“MUTUS LIBER, IN QUO TAMEN tota Philosophia ermetica figuris hierogliphicis depingitur, ter potimo maximo Deo misericordi consecratus, solisque filiis artis dedicatus, autore eius nomen est Altus.
21.11.82. Neg:
93.82.72. Neg:
82.81.33. Tued.“
(“Il libro muto, nel quale l’intera filosofia Ermetica viene rappresentata in forma di immagini geroglifiche, consacrato a Dio misericordioso, tre volte massimo ottimo, e dedicato ai soli figli dell’Arte, il cui autore ha nome Altus”.)
La serie di numeri citati dopo non sono altro che riferimenti al testo biblico.
21.11.82 Neg si riferisce alla Genesi (Gen. abbreviazione di Genesi letto al contrario diventa Neg e così per le citazioni numeriche del capitolo e dei versetti) :
28: 11,12 “Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno:una scala poggiava sulla terra, mentre la sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa“
93 82 72 Neg corrisponde a Genesi 27:28,39:
“Dio ti conceda rugiada dal cielo
e terre grasse
e abbondanza di frumento e di mosto“
“Allora suo padre Isacco prese la parola e gli disse:
Ecco, lungi dalle terre grasse
sarà la tua sede
e lungi dalla rugiada del cielo dall’alto.“
82 81 33 Tued corrisponde a Deuteronomio 33: 18,28
“Per Zabulon disse:
Gioisci Zabulon, ogni volta che parti, e tu Issacar, nelle tue tende!“
“Israele abita tranquillo,
la fonte di Giacobbe in luogo appartato,
in terra di frumento e di mosto, dove il cielo stilla rugiada.“
La scala è da sempre stata utilizzata per raffigurare il processo di crescita dell’uomo, l’ascesa progressiva nell’individuazione del sé; le ritroviamo nei riti di iniziazione orfici; nei misteri mitriaci e nei riti sciamanici. La scala raffigurata al centro della tavola simboleggia però nel contempo anche la scala philosophorum. Salendo questa scala l’uomo potrà compiere le tappe della Grande Opera alchemica. Possiamo contare 12 pioli sulla scala, gli unici a noi visibili. Il numero non è casuale, al contrario lo conosciamo come carico di significati nel linguaggio alchemico. Il 12 segna il compimento di un ciclo, perché 12 sono le ore del giorno e 12 quelle della notte, 12 sono i mesi dell’anno e ancora 12 sono i segni dello zodiaco. Anche in alchimia ci sono 12 fasi nel processo a cui verrà sottoposta la materia:
- calcinazione
- congelazione
- fissazione
- soluzione
- digestione
- distillazione
- sublimazione
- separazione
- cerazione
- fermentazione
- moltiplicazione
- proiezione
Le 12 fasi del processo corrispondono ai 12 segni zodiacali a cominciare dall’Ariete.
La pietra su cui l’uomo del Frontespizio posa la testa simboleggia la prima materia degli alchimisti, punto di partenza della Grande Opera di trasformazione. I rami di rose che fanno da cornice alla scena possono probabilmente riferirsi al Rosarium philosophorum, perché la rosa è flos sapientium, e rappresenta il sole sulla terra ed il luogo di nascita del filius philosphorum, risultato finale dell’Opera.
Il nodo tra i rami del rovo, al centro in basso, indica la complessità del processo. Il nodo deve essere sciolto per compiere la Grande Opera e arrivare al centro. Disfare il “nodo del cuore” significa raggiungere l’eternità, l’immortalità. Il nodo non va tagliato come accadde al nodo gordiano, perché, continuerebbe a riformarsi. E’ necessario riuscire a scioglierlo.
Questa prima tavola si pone come simmetrico della quindicesima e intende introdurre il lettore alla portata della Grande Opera che si accinge a conoscere.
Gli angeli che nella prima tavola svegliavano il dormiente, ora reggono un vaso chiuso, il vaso dei filosofi, nel quale vediamo Poseidone, il dio del mare con il tridente in mano, che protegge i suoi figlioli, Apollo (il sole), e Artemide (la luna), raffigurati bambini.
Il vaso in cui sono racchiusi rappresenta il grembo materno, da cui nascerà una nuova vita. Le polarità contrapposte del sole e della luna si uniscono per creare un figlio, il mercurio dei filosofi.
Poseidone rappresenta le acque primordiali, da cui la vita si genera ancora in modo indifferenziato; incarna le forze di una natura vaga e incerta, alla ricerca di una configurazione stabile e duratura.
Vediamo Poseidone seduto su uno spuntone di roccia che rappresenta l’isola di Delo. Secondo la mitologia fu Poseidone a farla emergere dai flutti, perché Leto vi si rifugiasse, sfuggisse alla vendetta di Era, e potesse dare alla luce i gemelli Apollo e Artemide.
L’isola che emerge dalle acque primigenie è immagine della prima materia, sulla quale i principi opposti possono dare inizio all’Opera. Indica un momento di pace nel caos dell’universo, un porto sicuro ove riposare la coscienza.
Nel piano inferiore vediamo invece due alchimisti, ancora uomo e donna a simboleggiare le polarità opposte, e al tempo stesso la portata universale dell’operazione alchemica. Stanno ai lati del forno, in cui c’è l’alambicco riscaldato da una fiammella. L’uomo è l’artifex, la donna è la soror mystica; collaborano alla realizzazione della pietra filosofale, l’oro degli alchimisti. Sono inginocchiati per ricevere la benedizione di Dio, perché l’Opera non può riuscire senza il suo assenso. L’alchimista, infatti, era perfettamente consapevole della disperazione, del male e dell’abisso che lo circondava. Perciò una fede profonda e la preghiera instancabile gli erano indispensabili.
La terza tavola è complementare alla seconda, esplicativa dello scopo finale della missione dell’alchimista.
A dominare su tre mondi concentrici si erge la figura di Zeus, padre di tutti gli dei, con la folgore e l’aquila che lo caratterizzano. L’aquila, simbolo dell’aria, è l’uccello che può guardare direttamente il Sole, simbolo dunque di percezione diretta, di elevatissima capacità intellettiva, di conoscenza. Qui è però rappresentata con la testa di un altro uccello, la fenice, simbolo di eternità e dell’infinito ciclo della vita, in quanto muore e risorge dalle sue stesse ceneri. La mitica fenice richiama il principio maschile, il fuoco, perché è dopo essere stata arsa dalle fiamme, che rinasce da sé; e in alchimia il fuoco rappresenta la materia che viene dallo stato della putrefazione, la nigredo.
Zeus sembra separare le nubi che lo circondano. E’ ciò che viene richiesto all’adepto dell’operazione alchemica: liberare la mente da ogni male, purificare l’anima dalla corruzione, confrontarsi e vincere la lotta contro il regno dell’Ombra, che incarna il lato oscuro di ognuno di noi.
I tre cerchi concentrici racchiudono i contenuti inconsci dell’Opera, i meno percepibili ad una visione immediata.
Nel primo cerchio, il più grande, vediamo Era, seduta subito sotto Zeus, accanto al pavone, suo attributo, la cui coda a ruota rappresenta l’unione dei colori, un simbolo di totalità. Dalla nigredo della putrefazione del primo stadio, sorgono i colori che si scompongono nelle mille sfumature dell’arcobaleno.
Nella parte inferiore del secondo cerchio, vediamo seduti i due alchimisti; l’uomo sta pescando una sirena (ritratta nella parte inferiore del primo cerchio) simbolo dell’Anima arcaica e dei pericoli delle seduzioni del male che ci inducono ad abbandonarci senza controllo. Un po’ come accadde ai compagni di Ulisse.
La donna tiene in una mano una lanterna: per illuminare la via e guidare l’uomo, come sua Anima interiore, lungo gli impervi sentieri dell’inconscio. Nell’altra mano ha una reticella: per acchiappare gli uccelli che volano nel lato inferiore sinistro del primo cerchio e che rappresentano i pensieri.
Ai lati del secondo cerchio, il Toro e l’Ariete rappresentano i segni zodiacali della primavera, propiziatori della buona riuscita dell’Opera. Il Sole e la Luna ai lati della Tavola, fanno da complemento e si uniranno per ottenere l’essere bisessuale della pietra.
Nel terzo cerchio, il più interno, vediamo ancora i due alchimisti che hanno pescato un delfino, e poco lontano Poseidone naviga trainato da un altro delfino. Il delfino è simbolo di rigenerazione e di saggezza; i cretesi ritenevano che le anime dei morti per raggiungere il paradiso, le isole felici, cavalcassero dei delfini, guide per il trapasso da un mondo mortale alla grazia e alla salute eterna.
I tre cerchi concentrici sottendono la circolarità del processo alchemico, e la necessità di concentrarsi sul centro, il luogo dell’Opera che attua la trasformazione creativa. Il cerchio in quanto chiuso su se stesso, raffigura il necessario autocontrollo per affrontare le tensioni prodotte dall’incontro delle opposte polarità.
Ha inizio la Grande Opera. Il primo livello del processo alchemico prevede la raccolta della rugiada.
Nella parte centrale della tavola, le cinque lenzuola stese, si impregnano del pregiato liquido, e l’uomo e la donna provvedono a strizzarlo in una bacinella. Il potente influsso cosmico di cui la rugiada è latrice è simboleggiato dal fascio di lame di luce che proviene da un punto centrale nel cielo, a metà via tra le due polarità, il Sole e la Luna.
La rugiada è grazia che porta nuova vita: dice Mosè in Deuteronomio 32,1-3
“Ascoltate, o cieli: io voglio parlare:
oda la terra le parole della mia bocca!
Stilli come pioggia la mia dottrina,
scenda come rugiada il mio dire;
come scroscio sull’erba del prato,
come spruzzo sugli steli di grano.“
E in Isaia 26,19-20 leggiamo:
“Ma di nuovo vivranno i tuoi morti,
risorgeranno i loro cadaveri.
Si sveglieranno ed esulteranno
Quelli che giacciono nella polvere,
poiché la tua rugiada è rugiada luminosa
la terra darà alla luce le ombre“
La rilevanza della rugiada in molti rituali magici è dovuta al suo significato di riconciliazione delle acque in alto e in basso, terresti e celesti.
Ai lati delle lenzuola vediamo ancora il Toro e l’Ariete, a ricordare che la primavera è il tempo più propizio all’Opera. Sullo sfondo, un villaggio.
In questa e nelle due tavole seguenti, assistiamo allo svolgimento della Grande Opera, essendo dettagliatamente illustrate le varie fasi del processo.
Vediamo di seguirle passo passo, a cominciare dalla scena in alto a sinistra.
I due alchimisti versano in un vasto bacile la rugiada raccolta in precedenza.
Il bacile è posto su un fuoco vivace che permetta la distillazione. Tre quarti del liquido passano nella damigiana tenuta dall’uomo.
La donna, con un cucchiaio, toglie ciò che era rimasto nel bacile, e lo conserva in un piccolo vaso, che in trasparenza lascia vedere quattro corpuscoli a forma di piccole nuvole. Stanno ad indicare uno stadio del processo in cui la materia è ancora indifferenziata. La nuvola è il prodotto finale del processo d’evaporazione della rugiada. Indica la metamorfosi, vista non secondo i suoi elementi costitutivi, ma nell’atto del divenire. Il Mercurio agisce come primo agente, ed è il punto di partenza dell’Opera. Con tutte le sue peculiari proprietà, rappresenta l’inconscio. Il mercurio, nel suo operare, agisce come la grazia di Dio che entra di prepotenza nel piccolo mondo della nostra coscienza individuale.
La donna porge il vaso che contiene le nuvole, ad un uomo nudo, sbilenco, che regge un bambino in braccio: si tratta di Efesto, il fabbro dell’Olimpo. Efesto è di natura lunare, come significato dallo spicchio di luna che ha sul petto, ripreso anche dal disegno sulla parete. Il suo essere lunare lo avvicina alla polarità del femminino, e del resto Efesto plasma la materia che si trova al centro della madre terra, con utensili e fuoco.
Esistono due versioni nella mitologia greca, circa la storia di Efesto: una racconta che era stato generato dalla sola Era, gelosa che Zeus avesse creato Atena dalla sua testa. Un bambino nato dall’odio e non dall’amore, non poteva che essere brutto e deforme ed Era, vergognandosene, lo allontanò dalla sua vista e da quella degli altri dei e lo scagliò giù dal Monte Olimpo. Cresciuto, Efesto divenne un fabbro abilissimo e si vendicò di sua madre.
Un’altra sostiene che Efesto nacque da Era e Zeus quando ancora la loro unione non era stata ufficializzata con nozze solenni: per questa ragione doveva essere fatto sparire. Di qui il suo volo vertiginoso dalla cima dell’Olimpo fino in mare, dove fu salvato dalle dee Eurinome e Teti, che lo crebbero per nove anni.
In entrambe i casi Efesto vuole essere la rappresentazione di un Io femminile. Ecco perché è chiamato a dare vita al bambino inerte che reca tra le braccia.
Il liquido contenuto nella damigiana, viene suddiviso in quattro vasi piccoli e tappati. C’è un recipiente per ciascuno dei quattro corpuscoli, ed il quattro allude ai Quattro Temperamenti (melanconico, flemmatico, collerico e sanguigno), ai Quattro Umori del corpo, oltre che ai Quattro Elementi degli alchimisti.
Il numero 40 scritto in basso al centro, indica i quaranta giorni della durata del processo. Altus, raccoglie le informazioni dell’alchimista Philaletes che diceva:
“Giuro che se, stimolando il fuoco in questo regime, farai sublimare qualcosa, perderai inevitabilmente l’Opera. Contentati che la tenera materia sia detenuta per quaranta giorni e quaranta notti in fondo alla prigione che è il nido della concezione”.
Il Quaranta è un numero simbolico che indica un periodo di forte esperienza religiosa o preparazione a una missione speciale; la Bibbia ricorda i 40 giorni del diluvio (Gn 7,12), per l’imbalsamazione di Giacobbe (Gn 50,3), per esplorare *Canaan (Nm 13,25), i 40 anni nel deserto (Es 16,35; Nm 14,33-34; Dt 2,7; Gs 5,6; Sal 95,10; Am 2,10; 5,25; At 13,18; Eb 3,9), nelle mani dei Filistei (Gdc 13,1), i 40 giorni di Mosè sul Sinai (Es 24,18; 34,28; Dt 9,9.18; 10,10), della ricognizione in Canaan (Nm 13,25), della sfida di Golia (1Sam 17,16), del viaggio di Elia (1Re 19,8), della penitenza di Ninive (Gio 3,4), di Gesù nel deserto (Mt 4,2; Mc 1,13; Lc 4,2), che ha dato origine alla Quaresima cristiana, e dopo la risurrezione (At 1,3). La flagellazione secondo la legge ebraica non doveva superare i 40 colpi, perciò se ne contavano 39 (Dt 25,3; 2Cor 11,24).
Quaranta significa un cambiamento radicale, un aiuto divino, un passaggio ad un’altra vita.
Seguiamo, come abbiamo fatto nella Tavola precedente, l’evoluzione del processo alchemico, a partire dalla prima scena in alto a sinistra.
I quattro vasi vengono svuotati nella damigiana dall’uomo e dalla donna, e quindi distillati.
Questa nuova fase fa comparire nel liquido un fiore a sei petali, che rappresenta l’oro degli alchimisti, seppur ancora in uno stadio embrionale. Si trova all’interno di un liquido che la donna travasa con il cucchiaio. Indica il comparire dell’elemento maschile che si contrappone a quella femminile.
L’alchimista consegna l’ampolla con la rosa ad Apollo, come nella Tavola precedente la donna aveva consegnato ad Efesto il distillato con i quattro corpuscoli. Apollo è vestito con la corazza di Ares, il Dio delle guerra, e reca sul capo il simbolo del Sole, del quale è cocchiere.
L’elemento maschile dunque (oro degli alchimisti-sole-Apollo) arriva prepotentemente a bilanciare l’elemento femminile delle precedenti tavole (Luna-Efesto). Ciò è necessario alla ricongiunzione degli opposti.
Nell’ultima scena la donna versa il contenuto dell’ampolla con i quattro corpuscoli su un bacile al fuoco.
L’uomo versa il liquido ottenuto dalle precedenti fasi di distillazione in un bacile che contiene il liquido con i corpuscoli.
Nella scena successiva si nota che, il prodotto dell’unione è divenuto più denso ed i corpuscoli sono scomparsi.
Si procede quindi ad un’altra cottura, sul fuoco vivo.
A fuoco spento la donna, con il cucchiaio, prende dal composto lo strato sublimato, e lo versa in una bottiglia, all’interno della quale si vengono a formare quattro asterischi. Essi rappresentano il sale dell’armonia dell’universo.
Ricordiamo che gli elementi alchemici fondamentali sono: lo zolfo (lo spirito); il mercurio (l’anima) ed il sale (il corpo). Lo zolfo sta alla base del processo di combustione, il mercurio dell’evaporazione, ed il sale fissa lo Spirito volatile. Non pensiamo che il corpo sia un elemento meno importante o meno degno degli altri due, nell’ambito della Grande Opera. Solo nel contesto della corporeità la coscienza, libera dall’ottundimento e finalmente depurata, può raggiungere la sua massima elevazione. L’integrazione di corpo e spirito è fase fondamentale nell’operazione alchemica, è il momento del congiungimento tra Alto e Basso, tra macrocosmo e microcosmo, quando ogni distinzione disgregatrice viene meno e si raggiunge l’Armonia. L’operazione alchemica non avviene al di fuori di noi, ma essenzialmente dentro di noi; non dobbiamo considerarla come astratta dalla fisicità delle cose, ad operare su un piano essenzialmente immateriale. Il corpo ne costituisce elemento fondamentale, in quanto involucro della nostra interiorità feconda.
Nelle scene in basso, un essere minaccioso, avvolto dalle spire di fuoco di una pira, divora un bambino. E’ il momento in cui l’Opera deve fronteggiare Saturno, il piombo. E’ questo il momento più complesso, perché ci si trova di fronte all’ostacolo più difficile da superare. Il piombo rappresenta ciò a cui più eravamo legati nella nostra vita passata, e ciò a cui dobbiamo riuscire a rinunciare per raggiungere la pienezza. Questa scelta dolorosa provoca in noi un forte scoraggiamento, ed una sensazione di tristezza, di malumore, di scoramento. Sensazioni che pesano sulla nostra anima, come pesa il piombo. Ma non esiste solo un profilo di negatività nell’intervento del tenebroso Saturno. Perché solo la fase di crisi ci permettere di trovare l’energia necessaria a risalire, a lottare ancora per quel che intendiamo ottenere, scovando in noi stessi l’energia e la vitalità necessarie.
L’alchimista versa su Saturno, che stringe ancora il bambino tra le braccia, il liquido rimasto dopo che la donna lo ha scremato con il cucchiaio. In questo modo l’uomo si libera della sua corruttibilità, emerge dalla bara di piombo, ottiene la saggezza.
Nell’ultima figura in basso a destra, Saturno si trova al cospetto di Afrodite, rappresentata quasi nuda con una falce di luna sulla fronte. La bottiglia che contiene i cristalli del Sale dell’Armonia dell’Universo è a metà via tra i due, legata all’elsa della spada di Saturno, ma anche saldamente impugnata da Afrodite.
Il bambino è salvo, e chiude con la mano la bocca di Saturno.
La Tavola si divide in due sole parti.
Nella superiore, gli angeli reggono nel cielo l’Uovo dei filosofi.
Al suo interno, i raggi ardenti del sole che sovrasta, portano alla maturazione dell’ homunculus, che assume le sembianze dell’ Hermes greco. Questi, all’interno dell’Uovo, cammina su un suolo acceso dalla luce del sole e della luna allo stesso tempo, simboli della sua doppia natura.
La rappresentazione è quella tradizionale della mitologia greca: la ali ai lati della testa, ed il caduceo (si dice fosse in origine una verga d’oro, che Apollo gli donò in cambio uno zufolo) con 5 piccole serpi avviluppate intorno.
Il 5 è simbolo di vita universale, del microcosmo, e dunque dell’uomo come sede privilegiata d’incontro tra materia e spirito. Il 5 indica anche i sensi di percezione umana (forme di interazione con il mondo naturale) e le forme della materia; indica in ultimo la quintessenza.
Ai piedi degli angeli notiamo due stormi d’uccelli simili a colombe; le prime di entrambe i gruppi recano in bocca un ramoscello fiorito, simbolo della natura, della vita vegetativa e del colore dell’armonia del cosmo, il verde. Gli uccelli sono inoltre simbolo di essenza spirituale, e sono in tutto 10, ma volano a gruppi di 5.
Nella parte inferiore della Tavola notiamo i due alchimisti, uomo e donna, raccolti in atteggiamento di preghiera attorno al forno. L’Opera non potrà mai essere portata a compimento in assenza di una fede ardente e sincera. La preghiera è strumento di elevazione spirituale, e di accostamento ai misteri del Creato.
Come già era avvenuto nella Tavola 4, siamo qui in presenza di una raccolta di rugiada. Non più però mediante le lenzuola, bensì bacili disposti in guisa di piramide triadica.
Il paesaggio attorno è pure differente: l’anno è ad uno stadio più avanzato, i campi sono stati arati.
Ancora però notiamo i fasci di raggi che convergono a concentrare la preziosa essenza; il sole e la luna in alto ad esprimere la bipolarità dell’operazione; l’ariete ed il toro ad indicare la stagione propizia dell’anno.
In basso a sinistra la donna versa la rugiada in un’ampolla retta dall’uomo, e di seguito (a destra) la donna la porge ad Hermes. Potrebbe sembrare un gesto d’offerta, ma gli interpreti notano un’espressione di diniego nella donna, ad indicare che non è ancora giunto il tempo che Hermes la riceva.
Hermes ha adesso dieci serpi avvolte attorno al caduceo. Si rimanda in questo modo alle dieci sublimazioni del processo alchemico. Il 10, è simbolo della perfezione della creazione, rappresenta la legge perfetta, (il Decalogo), ed è il numero perfetto dei pitagorici.
La donna non può ancora consegnare l’ampolla di rugiada ad Hermes, perché consapevole del fatto che quanto ottenuto finora non è ancora il prodotto completo. E’ necessario rispettare dei tempi ben precisi, perché l’Opera giunga a corretto adempimento, che non possono essere affrettati in nessun modo.
Troviamo ancora gli alchimisti all’interno di una casa, intenti a continuare l’Opera.
Sul tavolo, sui due piatti di una bilancia, ritroviamo la Rosa dei Filosofi e l’Asterisco simbolo del Sale. L’uomo tiene in mano l’ampolla con i cristalli, e versa con perizia il contenuto dell’ampolla con il mercurio e la rugiada sul Fiore.
La donna versa il tutto nella boccia con attenzione.
Abbiamo dunque adesso un liquido composto dei tre elementi alchemici, mercurio, zolfo e sale.
Lo zolfo corrisponde alla ragione, ma da solo è sterile. Necessita dell’interazione con il mercurio. Questo perché lo zolfo è l’elemento maschile; il mercurio l’elemento femminile. Solo dal loro incontro potrà essere generato il figlio. L’oro vivo dei filosofi è infatti risultato del perfetto incontro di mercurio e zolfo.
L’ampolla ora viene sigillata, e anche l’alambicco richiuso accuratamente, perché la coniunctio si può realizzare solo in condizioni perfette.
In basso notiamo due figure alla destra del forno acceso. La figura femminile è Artemide, simbolo lunare e del mercurio, che si congiunge, stringendogli la mano, ad Apollo, simbolo del sole e dello zolfo. Principio femminile e principio maschile si uniscono.
Artemide, dea della caccia per i greci, porta con sé l’arco che la caratterizza, e con esso dovrà colpire il bersaglio alla sinistra del forno. E’ il simbolo della ricerca, che deve essere indirizzata verso un obbiettivo preciso. L’arco però in questo momento non è ancora teso, e la freccia non è pronta a partire.
Il Matrimonio Chimico è ormai compiuto; Animus e Anima si sono incontrati, ed ha avuto luogo la fase alchemica dell’albedo.
Accanto ad Artemide e ad Apollo, è scritto in piccolo il numero 10, simbolo di completezza, di pienezza, di principio creatore. E’ il numero che indica la conoscenza perfetta, del mondo interiore ed esteriore.
Ad un primo sguardo sembrerebbe di trovarsi in presenza di una ripetizione della Tavola 8, ma da un confronto attento, si notano dei dettagli indicativi del fatto che l’Opera è giunta ad uno stadio più avanzato.
La figura è nel complesso più luminosa; le tenebre si vanno dissipando.
Hermes nella Tavola 8 camminava su un suolo che adesso si è dissolto. Sono invece sempre presenti i simboli del Sole e della Luna. Ciò sta a significare il superamento del caos e della dissolutezza.
Nella Tavola 8 i raggi del sole erano 7, ora sono 10. La pienezza della creazione sta per essere raggiunta.
Il ramoscello retto in bocca dalla colomba di sinistra reca, prima dell’infiorescenza, il simbolo della sublimazione. Esso non è altro che il simbolo del segno zodiacale della Bilancia, due linee parallele di cui la superiore leggermente inarcata verso il centro. Vi è corrispondenza tra la Bilancia, segno del settimo mese dell’anno, e la fase della sublimazione. Proprio in autunno, infatti, secondo i filosofi, l’Opera giunge a compimento.
L’infiorescenza della colomba di destra termina invece con l’asterisco del sale.
Nella parte inferiore, l’atteggiamento di preghiera non è mutato, e l’uomo e la donna vegliano sullo svolgersi delle fasi dell’Opera davanti all’alambicco. La concentrazione orante non deve mai venire meno.
Abbiamo in questa Tavola 12 una terza raccolta di rugiada, dopo quelle delle Tavole 4 e 9. I campi sullo sfondo sono mutati ancora una volta. Brulli nella Tavola 4; arati nella 9, qui fioriti e ricchi di vegetazione in pieno rigoglio. Siamo arrivati al mese di Maggio.
Nel cielo le nubi si addensano attorno ai raggi di rugiada, e la luna ha un’aureola più delineata.
Ai lati della piramide triadica formata dai bacili, notiamo ancora il Toro (segno zodiacale del mese di Maggio, e simbolo di fertilità femminile) e l’Ariete (segno del mese di Aprile e simbolo della potenza maschile).
Abbiamo dunque due contrapposizioni simmetriche di maschile e femminile: sole e luna nel cielo, Toro e Ariete sulla terra.
Ai lati della piramide notiamo anche due corsi d’acqua.
I due alchimisti, in basso a sinistra, arricchiscono il contenuto dell’ampolla di nuova rugiada.
A destra, nella scena finale, la donna porge con decisione la stessa ampolla ad Hermes, che questa volta la prende dalle sue mani. Ricordiamo che nella stessa scena della Tavola 9 la donna si mostrava titubante nel cedere il prezioso fluido, perché il tempo non era ancora maturo.
Anche qui sembra di essere in presenza di una ripetizione della Tavola 10, ma un attento esame comparativo mostra presto delle differenze fondamentali.
Nella prima scena in alto a sinistra, l’uomo svuota le ampolle sui piatti della bilancia, proprio faceva come nella Tavola 10. Ma gli asterischi di sale nell’ampolla sinistra da 4 sono diventati 3, e dall’ampolla destra non cade più il Fiore dei filosofi, ma un piccolo sole.
La diminuzione del numero degli asterischi segna passaggio dal quadrato al triangolo. Dall’unione di uomo e donna si ottiene infatti un cerchio, dalla quadratura del cerchio si ottiene un quadrato, ed infine dal quadrato è necessario estrarre un triangolo per giungere alla Pietra filosofale, come recitano i testi alchemici.
Il Sole prende posto del Fiore, perché il processo ha giunto lo stadio terminale. Gli alchimisti hanno ottenuto il “Sole verissimo creato dall’Arte”.
Nelle scene susseguenti, la donna versa ancora con attenzione il contenuto dei piatti della bilancia in un’ampolla, in cui notiamo l’asterisco ed il sole; poi l’uomo versa l’ultima rugiada raccolta all’interno dell’ampolla, dove si vengono a creare due fasi di colore diverso.
L’ampolla viene sigillata, a posta ancora nel forno per un’ulteriore distillazione.
La scena in basso è la più significativa. Artemide (simbolo lunare) tiene ancora per mano Apollo (simbolo solare) come facevano nella Tavola 10. Ma l’arco di Artemide è ben teso adesso, e ben più evidente il bersaglio dietro al forno. I quattro cerchi concentrici di cui si compone ci ricordano i quattro colori della fasi di trasformazione alchemica: nigredo (Nero), albedo (Bianco), citredo (Giallo) e rubedo (Rosso).
Sotto Apollo notiamo scritta questa sequenza numerica:
100-1000-10000 & C
ripetuta per due volte.
La moltiplicazione dell’unità un numero infinito di volte per il 10, è simbolo di infinto accrescimento. La Grande Opera è stata portata a termine, e la vita spirituale potrà da essa trarre energie illimitate. Si apre agli uomini una vita di opportunità e di nuove capacità di realizzazione.
L’infinità delle moltiplicazioni possibili è come l’infinità delle possibilità dell’Uomo consapevole.
Tre nuovi personaggi ci si presentano in questa Tavola.
Sotto i tre forni notiamo due donne ed un fanciullo. Le prime hanno lasciato di filare la lana ed hanno ancora la rocca sotto il braccio. Il ragazzo ha deposto la palla e la racchetta, e ora tutti e tre rovesciano il contenuto delle ampolle in un nuovo contenitore.
Siamo giunti alle fasi conclusive dell’Opera, quando ormai le difficoltà maggiori sono state superate, e la prosecuzione è letteralmente “un gioco da ragazzi”, ludus parvulorum.
Più in basso notiamo due forni, uno contrassegnato dalla Luna, l’altro dal Sole. Al centro una bilancia ed un mortaio. La congiunzione è avvenuta. I due opposti maschile e femminile sono stati ricondotti ad unità.
In basso, i due alchimisti invitano al silenzio, con dei gesti eloquenti delle mani. La Grande Opera non deve essere rivelata, ma potrà essere scoperta dai meritevoli e puri di cuore.
Il messaggio scritto è esplicito:
“Prega
Leggi Leggi Leggi Rileggi Lavora
E Scoprirai.”
La tavola 15 conclude il Libro ed intende acclamare la felice riuscita del processo alchemico.
In modo simmetrico a quanto si vede nella prima Tavola, abbiamo qui una raffigurazione mistica dell’Opera: adesso però la scena non è illuminata della luna, bensì dal fulgore dello splendido Astro solare.
Al centro della Tavola troviamo Zeus, incoronato da due angeli con il serto d’alloro, che tiene tra le mani la fune tripartita; alle altre due estremità della fune troviamo l’uomo e la donna.
I due alchimisti pronunciano le parole “Oculatus abis”, ovvero “Dotato di occhi te ne vai”. Il processo alchemico ha aperto gli occhi, ha permesso di vedere ciò che prima non era visibile.
Oculatus abis è anche un anagramma dietro cui si cela la firma del presunto autore del Mutus Liber: Jacobus Altus.
Poco sotto, Eracle giace esausto sul corpo del leone di Nemea. Secondo la mitologia greca questa fu la prima delle proverbiali dodici fatiche, e non è un caso che sia stata qui celebrata.
La presenza del Leone in molte raffigurazioni sepolcrali, ed il legame con Artemide, “Leonessa delle donne” e patrona del dolce trapasso, inducono a pensare che la mitica lotta tra Eracle ed il Leone non sia altro che una metafora della lotta dell’uomo con la Morte.
Dunque la Morte è sconfitta, e sul corpo di Eracle splendono il Sole e la Luna, ad indicare il momento di coniunctio, fusione, trasmutazione. E’ la fine delle divisioni all’interno dell’anima umana, il ritorno all’equilibrio, la fine del caos e della cecità.
La scala di Giacobbe ha ormai esaurito la sua funzione, e si trova posata a terra.
In basso, le ramificazioni della siepe, simbolo della materia, si congiungono a due ali spiegate simbolo dello spirito; nel matrimonio chimico assistiamo infatti all’unione di corpo e anima.
In basso, incorniciato di foglie, notiamo un piccolo uno stemma, un altro artifizio di Altus per simboleggiare il processo alchemico.
Partendo dal basso vediamo la terra formare tre onde.
E’ la nostra essenza primordiale, il primo stadio, la Materia. Simboleggia il caos delle passioni, la mancanza di conoscenza, le tenebre.
Più in alto, notiamo tre sfere.
Sono le tre onde di prima che hanno superato una fase di purificazione e sono riuscite ad emergere dal caos. E’ la seconda fase, quella dell’Anima.
Due righe oblique separano dall’ultimo stadio, contraddistinto da tre conchiglie.
E’ il livello dello Spirito, il punto d’arrivo nello svolgersi del processo alchemico. La conchiglia è una felice metafora della nostra essenza più immateriale, poiché si viene a formare per sovrapposizione progressiva -sedimentazione- di materia morbida che si solidifica progressivamente. E poiché è nello stesso tempo un guscio, protegge quanto si trova al suo interno.
I tre livelli così individuati interagiscono in modo dinamico. Come nel Processo Alchemico, l’anima dell’alchimista è in grado di attraversarli, per raggiungere l’Illuminazione.
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